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L’Archivio storico della Cgil nazionale conserva tutto quello che la confederazione ha prodotto o acquisito a partire dalla sua ricostituzione, con il patto di Roma del 1944, e fino a ieri. Attraverso i documenti in esso conservati è possibile raccontare la storia della Cgil, una storia fatta di gente comune ed esperienze straordinarie, vissute nei territori e nei luoghi di lavoro. La storia di tanti uomini e tante donne che negli anni hanno contribuito a renderla quello che oggi è.
Le carte conservate in via dei Frentani ci permettono di raccontare la storia dei congressi, dei comitati direttivi, dei grandi scioperi e delle grandi manifestazioni, ma ci permettono anche di raccontare le storie di tante donne divenute capo famiglia e ritrovatesi a sostituire – anche da un punto di vista economico – uomini partiti per il fronte e mai rientrati, mariti uccisi o arrestati nel corso di manifestazioni per la difesa del posto di lavoro e dei propri diritti; le storie delle mondine, delle tabacchine, delle gelsominaie; la conquista delle 8 ore, della legge per la tutela del lavoro delle donne e dei fanciulli, la conquista della parità di retribuzione, la riforma del diritto di famiglia, il divieto di licenziamento in caso di matrimonio, l’ammissione ai concorsi per entrare in magistratura, la legge 194, di cui nel 2018 è ricorso il 40° anniversario.
Una storia fatta di grandi conquiste, ma anche di grandi sconfitte, ripiegamenti, forti contrapposizioni interne. “La” Cgil è femminile, per definizione. Bisogna però ammettere che all’inizio nei gruppi dirigenti del principale sindacato italiano ci sono solo maschi, o quasi... Dalla ricostituzione dopo il ventennio fascista devono trascorrere circa 40 anni prima che una donna, Donatella Turtura, venga chiamata da Luciamo Lama a far parte della segreteria confederale. Nel comitato direttivo della neonata Federazione Cgil-Cisl-Uil (luglio 1972) non vi è neppure una donna. Nel 1973, le donne elette nel Consiglio generale della Cgil sono 12 (su 211 membri, pari al 5,68%). Solo 2 nel comitato direttivo (su 64 membri, pari al 3,1%).
Si tratta, nello specifico, di Maria Lorini (responsabile dell’ufficio lavoratrici) e di Nella Marcellino (storica segretaria dei tessili), della quale dirà anni dopo Bruno Ugolini: “Una donna speciale, Nella Marcellino, con il sorriso dolce e il temperamento d’acciaio. La si guarda e vien da pensare a quando affrontava a Milano le lotte interne tra il partito degli operai e quello degli intellettuali. È una donna che ha saputo tener testa, con quel sorriso, con quella capacità ironica, a personaggi come Palmiro Togliatti, Luigi Longo, Pietro Secchia, Giancarlo Pajetta, Armando Cossutta. È la stessa donna che a sei anni entrava da esule in Francia e che molti anni più tardi batteva a macchina un memorandum che avrebbe scosso il mondo”.
Oggi le donne in Cgil sono più o meno il 50% degli iscritti. Hanno circa la metà dei delegati nelle assemblee e nei comitati direttivi e sono alla guida di numerose Camere del lavoro e strutture regionali, nonché di categorie nazionali. Nella segreteria confederale la percentuale di donne è gradualmente aumentata a partire dal 1986, fino a divenire paritaria dal 2002. Logica conseguenza della decisione, presa in occasione del XIII congresso (Rimini, 2-5 luglio 1996), di far assumere alla “Norma antidiscriminatoria” un carattere vincolante, e soprattutto dell’introduzione senza alcuna riserva nello Statuto confederale (articolo 6) del principio secondo il quale “nessuno dei due sessi può essere rappresentato al di sotto del 40% o al di sopra del 60%”.
Molta strada è stata fatta, molta ne rimane da fare. “Il sindacato è per definizione un’organizzazione collettiva – ha detto Susanna Camusso il 9 dicembre del 2010 nel corso di un suo intervento alla Casa Internazionale delle Donne di Roma –. Considero il fatto che oggi una donna diriga la Cgil non un successo personale, ma il frutto di una lunga storia anche complicata e conflittuale delle donne nel sindacato. Poi certo, le donne sono più disponibili all’ascolto e a mettersi in discussione. Però non avere mai certezze è anche molto faticoso. Il messaggio che manderei alle giovani – e che ripeto spesso anche a mia figlia – è che un esercizio collettivo è di per sé un cambiamento e che non è vero che parole come femminismo sono vecchie. Sembrano vecchie perché vi illudono che non ci sono discriminazioni. Invece vi scontrate con gli stessi problemi con cui ci siamo misurate noi. La realtà non è cambiata e richiede parole già usate e solo apparentemente usurate”.
Ilaria Romeo è responsabile Archivio storico Cgil nazionale