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1. Nel secondo dopoguerra è Giuseppe Di Vittorio il primo a parlare esplicitamente della necessità di uno Statuto dei diritti dei cittadini lavoratori prendendo la parola nel corso dei lavori del Congresso del Sindacato dei chimici nell’ottobre 1952.
I lavoratori sono uomini e liberi cittadini della Repubblica Italiana anche nelle fabbriche, anche quando lavorano (…) - scriveva su l’Unità dell’11 ottobre il segretario generale della Cgil - Nell’interesse nostro, nell’interesse vostro dei padroni, nell’interesse della patria, rinunciate all’idea di rendere schiavi i lavoratori italiani, di ripristinare il fascismo nelle fabbriche (…) Io voglio proporre a questo Congresso una idea che avevo deciso di presentare al prossimo congresso della Cgil (…) facciamo lo statuto dei diritti dei lavoratori all’interno dell’azienda. Formulato in pochi articoli chiari e precisi, lo statuto può costituire norma generale per i lavoratori e per i padroni all’interno dell’azienda (…).
Nella sua relazione al Congresso della Cgil del 1952 Di Vittorio diceva:
Abbiamo il dovere di difendere le libertà democratiche e i diritti sindacali che sono legati alla questione del pane e del lavoro, abbiamo il dovere di difendere i diritti democratici dei cittadini e dei lavoratori italiani, anche all’interno delle fabbriche. In realtà oggi i lavoratori cessano di essere cittadini della Repubblica italiana quando entrano nella fabbrica (…) Il lavoratore è un uomo, ha una sua personalità, un suo amor proprio, una sua idea, una sua opinione politica, una sua fede religiosa e vuole che questi suoi diritti vengano rispettati da tutti e in primo luogo dal padrone. È per questo che noi pensiamo che i lavoratori debbono condurre una grande lotta per rivendicare il diritto di essere considerati uomini nella fabbrica e perciò sottoponiamo al congresso un progetto di 'Statuto' che intendiamo proporre, non come testo definitivo, alle altre organizzazioni sindacali (perché questa esigenza l’ho sentita esprimere recentemente anche da dirigenti di altre organizzazioni sindacali), per poter discutere con esse ed elaborare un testo definitivo da presentare ai padroni e lottare per ottenerne l’accoglimento e il riconoscimento solenne.
2. Nel dicembre del 1963 si ha la formazione del primo governo presieduto da Aldo Moro. Nel discorso alle Camere, il presidente del Consiglio dichiara il proposito di definire, sentite le organizzazioni sindacali, uno Statuto dei diritti dei lavoratori al fine di garantire dignità, libertà e sicurezza nei luoghi di lavoro.
3. Nel febbraio dell’anno successivo la segreteria della Cgil formalizza con una lettera a Pietro Nenni il proprio giudizio positivo sullo Statuto, ribadendo la richiesta che la legge garantisca i diritti costituzionali dei lavoratori, la giusta causa nei licenziamenti e il riconoscimento delle commissioni interne. Intanto Gino Giugni, incaricato direttamente da Nenni di redarre con il giurista Tamburrano tre disegni di legge su Commissioni interne, giusta causa e diritti sindacali, inizia la sua collaborazione con il Governo ed entra a far parte della Commissione nominata dal ministro del lavoro Bosco per predisporre un progetto di legge sui licenziamenti, approvato dal Parlamento 15 luglio 1966 (la legge 604 sui licenziamenti prevederà la giusta causa e l’obbligo di un indennizzo monetario, non quello della riassunzione, in caso di licenziamento ingiustificato).
4. L’11 dicembre 1969 il disegno di legge del governo è approvato in prima lettura dal Senato. Votano a favore i partiti di centro-sinistra e i liberali, si astengono - con opposte motivazioni - Msi da una parte, Pci, Psiup e Sinistra Indipendente dall’altra. Il giorno dopo, 12 dicembre, esplodono le bombe alla Banca dell’Agricoltura a Milano: è la strage di Piazza Fontana.
5. Il 14 maggio 1970 la Camera dei deputati, con 217 voti favorevoli, 10 contrari e 125 astenuti, approva definitivamente la legge nel testo del Senato dopo che, su richiesta del nuovo ministro del Lavoro Donat Cattin tutti gli emendamenti (tranne quelli del Pli) sono stati ritirati. Il 20 maggio il testo è pubblicato sulla Gazzetta ufficiale.
6. “Quando lo Statuto dei lavoratori divenne legge mi trovavo a Palermo - raccontava lo scorso anno a Collettiva Achille Occhetto, ultimo segretario del Partito comunista italiano - impegnato in una battaglia estremamente dura: impedire a Vito Ciancimino di diventare sindaco, una battaglia vinta grazie all’alleanza con le forza sane e antimafiose della città. Intanto a Roma la legge era stata molto discussa in Parlamento. Il Pci aveva deciso di astenersi perché la riteneva insufficiente. A mio giudizio si trattò di un errore, di una posizione molto miope dettata prevalentemente da motivi di politica generale e dal contrasto con il centro-sinistra che offuscò in parte le nostre idee. Il nostro Partito aveva colto dei limiti, tuttavia secondari, che si riferivano al fatto che la giusta causa avrebbe coperto solo chi lavorava in aziende con almeno 15 dipendenti. In realtà si trattò di un salto di civiltà di notevole portata per la dignità e i diritti dei lavoratori: come si disse all’epoca per la prima volta la Costituzione entrava in fabbrica, dopo tanti anni di discriminazioni che avevano colpito duramente lavoratori, sindacalisti e politici”.
7. “Quella materia andava preservata dall’intervento della politica - è al contrario ancora oggi il parere di Aldo Tortorella - Era una materia che andava regolata dalla trattativa sindacale e non da una legge che può essere fatta, ma poi disfatta. Si poteva e si può ritenere che l’intervento statuale nella regolamentazione dei rapporti di lavoro oltre un certo limite può essere negativo, come si è poi rivelato alla lunga. L’astensione, legittima e necessaria, ha rappresentato una riserva, non una condanna del provvedimento. Trovo siano sbagliate le critiche postume, che non condivido”.
8. Affermava Luciano Lama, segretario generale della Cgil, nel giugno del 1970: “Lo Statuto dei diritti è frutto della politica unitaria e delle lotte sindacali: lo strumento non poteva che essere una legge, ma la matrice che l’ha prodotta e la forza che l’ha voluta è rappresentata dal movimento dei lavoratori e dalla sua azione organizzata”.
9. Quarantacinque anni dopo, nel dicembre del 2015, il Comitato direttivo della Cgil votava pressoché all’unanimità la bozza della Carta dei diritti universali del lavoro, ovvero il nuovo Statuto delle lavoratrici e dei lavoratori.
10. Sottolineava lo scorso anno Maurizio Landini: “I vari governi che si sono succeduti negli ultimi 25 anni, allargando la precarietà, rendendo più facili i licenziamenti, nei fatti, hanno svuotato molto spesso di significato quello Statuto e quei diritti. Di fatto oggi le persone, pur lavorando gomito a gomito nello stesso lavoro, non hanno gli stessi diritti e le stesse tutele. La riunificazione dei diritti nel lavoro, il fatto che le persone nel lavoro debbano avere le stesse tutele e puntare al fatto che le persone si realizzino nel lavoro che fanno sono gli obiettivi della Cgil”. “Il 2021 - diceva il segretario a Futura 2020 - deve essere anche l’anno di un nuovo Statuto dei diritti dei lavoratori perché tutti i lavoratori, dai dipendenti alle partite Iva, devono avere le stesse tutele e gli stessi diritti”.