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Lo Statuto ieri e oggi. Sono tante le differenze tra il mondo del lavoro del 1970 e quello deregolamentato della nostra epoca. Il fordismo della grande fabbrica ha lasciato il posto a una produzione globale e disarticolata, mentre il lavoro è diventato instabile e precario. Ma la precarietà non è però una invenzione della modernità, visto che anche ai tempi dello Statuto erano già diffuse forme di lavoro precario e irregolare, mentre il sistema degli appalti faceva i suoi primi passi in una economia che si basava sulla grande fabbrica ma anche su un sistema di piccole e piccolissime imprese.
“La caratteristica principale dei nostri anni – spiega Tania Scacchetti, segretaria confederale della Cgil – è che la precarietà del lavoro da fatto temporaneo è diventata la costante stabile della vita delle persone. Siamo reduci da anni in cui si è data centralità all’impresa e si sono marginalizzati i lavoratori che sono sempre più soli. Per questo abbiamo proposto uno strumento come la Carta dei diritti universali, che applichi i principi costituzionali a tutti, a prescindere dalla collocazione nel sistema produttivo”. L’anniversario del varo della legge 300, lo Statuto dei lavoratori, può essere dunque un’importante occasione per rilanciare il tema dei diritti.
Il frutto di una grande mobilitazione sociale
“Quella conquista dello Statuto – dice Scacchetti – portò a compimento un lungo processo e fu il frutto di grandi mobilitazioni. Non a caso si disse che eravamo riusciti a portare la Costituzione e la democrazia anche dentro le fabbriche. Oggi dobbiamo riprendere quel percorso e rendere i diritti davvero universali. Ovviamente non sarà un percorso facile e breve, ma già vediamo i primi risultati anche se parziali della nostra battaglia culturale per riportare la questione dei diritti al centro del dibattito politico. In questi anni – dopo la grande deregolamentazione degli anni Novanta - ci sono stati alcuni segnali d'inversione di tendenza: pensiamo alle nuove regole sul lavoro autonomo, al provvedimento sull’equo compenso, al decreto dignità o alle tante sentenze sui diritti dei lavoratori. Insomma la Carta dei diritti che abbiamo depositato in Parlamento non è ancora una legge, ma è certo che abbiamo contribuito a riaprire il dibattito anche sulle forme di rappresentanza e sulla democrazia. Si riparte da qui”.
La precarietà? È una vecchia storia
C’è poi da tenere presente un aspetto fondamentale della storia dei diritti dei lavoratori. La frantumazione delle forme di lavoro e l’attuale solitudine coatta dei singoli lavoratori sono il male principale da curare, un male che però ha origini antiche. Lo dice chiaramente la storica del lavoro, Eloisa Betti, in una intervista su Collettiva.it curata da Davide Orecchio. “Un altro aspetto, che ci collega direttamente all’attualità – sostiene Betti, autrice di un libro sui Precari e le precarie nella storia repubblicana - è la persistenza di forme e di rapporti di lavoro intrinsecamente instabili: penso ad esempio ai contratti a termine e ai lavori in appalto. Credo sia uno degli aspetti più interessanti in termini di continuità. Queste sono forme lavorative che per lungo tempo si è pensato riguardassero la fase attuale del mercato del lavoro, e che fossero conseguenti alla riorganizzazione postdfordista del sistema produttivo. Ho cercato di evidenziare, invece, come questi processi fossero presenti già nella fase di costruzione del cosiddetto sistema fordista, in quella stagione che poi terminò con l’estensione a una galassia di lavoratori e lavoratrici delle tutele dello Statuto, insieme a una più ampia gamma di garanzie sociali”.
“Un fenomeno – spiega ancora Eloisa Betti – che non è stato, nella storia del capitalismo, qualcosa di eccezionale, ma la norma. La letteratura specialistica che, in particolare a partire dagli anni Ottanta, iniziò ad analizzare il problema della precarietà, lo fece con uno sguardo di breve periodo e concentrato solo sui Paesi occidentali. Questo è il motivo per cui per lungo tempo abbiamo considerato la precarietà un’eccezione. Perché il termine di paragone immediato era l'acquisizione di una serie di diritti del lavoro e sociali che si era collocata nel ‘trentennio glorioso’, ossia nella fase non solo di massima crescita economica del Novecento, ma anche di massima espansione dei diritti sociali. Quello che sostengo non è che la precarietà sia stata sempre uguale a sé stessa. Ha attraversato molti cambiamenti, sul piano delle categorie e dei soggetti coinvolti”.
C'era una volta il mercato del lavoro
In un libro sul mercato del lavoro considerato ormai modernariato (Massimo Paci, Mercato del lavoro e classi sociali in Italia, 1973), si parla di almeno due milioni di lavoratori marginali e precari nell’industria italiana su una popolazione attiva totale di circa 19 milioni di lavoratori. Un altro fenomeno tipico della situazione italiana riguarda gli appalti e le commesse. Anche questa era una dinamica già presente all’epoca del varo della legge 300, lo Statuto dei lavoratori. “Nei periodi di espansione economica – scrive Massimo Paci – le grandi aziende preferiscono spesso, invece di assumere direttamente forza lavoro, aumentare le commesse alle aziende minori, le quali a loro volta, ricorrono ampiamente ai lavoratori fuori contratto o a domicilio (...) Le grandi aziende non temono tanto di espandere i propri organici, quanto di non poterli poi ridurre una volta passata la fase congiunturale positiva”. Corsi e ricorsi storici.
Scopri le differenze
Ovviamente nel gioco di scoprire le differenze e le similitudini tra il passato e il presente dobbiamo guardare al cambiamento complessivo. La precarietà era già presente negli anni dello Statuto, ma oggi la frammentazione del lavoro ha raggiunto tetti inimmaginabili ed è diventata – come ci ha detto Tania Scacchetti – la costante della vita delle persone. E questo pone problemi nuovi al sindacato.
“Con lo Statuto dei lavoratori – dice Carlo Ghezzi dell’Anpi e sindacalista Cgil di lungo corso – siamo riusciti a fare entrare la Costituzione in fabbrica. Con una sola assemblea in fabbrica potevamo parlare magari a 15 mila operai nello stesso momento. In quegli anni, dal 1968 al 1978, le lotte ebbero importantissime ricadute anche sul fronte delle leggi: non solo lo Statuto, ma poi anche la Riforma sanitaria e la legge Basaglia sui manicomi, tanto per ricordare alcune tappe della storia dei diritti in Italia. Ma noi non dobbiamo neppure guardare all’indietro con una sorta di nostalgia per i bei tempi che furono. Dobbiamo pensare ai cambiamenti che sono avvenuti con la crisi del fordismo e forse si tratta di ripensare le prime esperienze sindacali del XX secolo. In fondo anche Giuseppe Di Vittorio non dovette fare i conti con il fordismo della grande industria, quanto con i caporali e i proprietari terrieri che sfruttavano i braccianti”.
Ed era stato proprio Giuseppe Di Vittorio (come ricorda Ilaria Romeo nell’articolo che pubblichiamo oggi), nel secondo dopoguerra a parlare per primo della necessità di uno Statuto dei diritti - già auspicato da Filippo Turati nel 1919 - che portasse la Costituzione dentro le fabbriche e nei luoghi di lavoro. Così oggi la Costituzione deve ricominciare a viaggiare: si devono andare a cercare i lavoratori ovunque, dentro e fuori i grandi centri di produzione, nella fabbrica diffusa e fluida, che corre sulle bici dei rider e sulle grandi reti digitali.