Sono 135mila, sono addetti del terzo settore socio-sanitario assistenziale educativo alle dipendenze delle strutture associate ad Uneba o che comunque applicano quel Ccnl, sono senza visto che è scaduto da quasi 5 anni. Da 44 mesi le organizzazioni sindacali unitariamente hanno presentato la piattaforma per il rinnovo, ma la trattativa non ha fatto un passo in avanti. Buste paga povere per operatori socio sanitari, infermiere e infermieri, educatori che lavorano in strutture residenziali convenzionate con il pubblico, ma che, come si sa, han retribuzioni e contratti diversi da quelli pubblici.

Salari più bassi, impoveriti come quelli di tutti e tutte i lavoratori, da tre anni di inflazione alle stelle ma Uneba chiede che ben il 50% degli aumenti richiesti venga posto a carico delle Regioni, e per questo il confronto non è mai partito. Presidi e mobilitazioni fino al 16 settembre, giorno dello sciopero nazionale. Ne parliamo con Michele Vannini, segretario nazionale della Fp Cgil.

Michele Vannini Fp Cgil

Segretario scioperano i lavoratori e le lavoratrici delle strutture che applicano il Ccnl Uneva, chi sono e cosa è Uneba.

Uneba è un’associazione datoriale privata del Terzo settore di matrice confessionale, gestiscono prevalentemente strutture di residenzialità per anziani. È bene ricordare che il Terzo settore che gestisce moltissime strutture di welfare, è quello che applica i contratti con le retribuzioni più basse. Faccio un solo esempio, un oss guadagna in media 1397 euro lordi al mese, è lavoro povero e svalorizzato, che spesso non mette le persone in condizione di arrivare a fine mese. Sono circa135mila i lavoratori e le lavoratrici a cui si applica questo contratto, in realtà lavoratrici visto che la maggior parte sono donne. Sono in gran parte addetti socio-sanitario, cioè operatori socio sanitari, infermieri, educatori.

La convocazione dello sciopero, però, non è un fulmine a ciel sereno, arriva dopo settimane dalla proclamazione dello stato di agitazione, perché questo epilogo?

Il contratto è scaduto nel 2019, 44 mesi fa abbiamo presentato una piattaforma per il rinnovo, abbiamo avuto diversi incontri nel corso dell'ultimo anno e mezzo che però non hanno consentito alcun passo avanti perché ci siamo incagliati su un ostacolo che sembrava insormontabile, l’associazione datoriale ci ha subordinato la possibilità di rinnovare il contratto al fatto che il 50% del costo del rinnovo fosse a carico delle Regioni. Stiamo parlando di strutture accreditate o convenzionate con il pubblico e così come è successo in occasione del rinnovo del contratto della sanità privata, chiediamo certo che le parti pubbliche adeguino le tariffe, contribuendo anche loro per quota parte al rinnovo del contratto. Durante gli incontri abbiamo più volte sottolineato che siamo disponibili, lo abbiamo già fatto in passato, a fare tutte le azioni di pressione nei confronti delle Regioni per l’adeguamento delle tariffe, ma subordinare il rinnovo del contratto al fatto che le Regioni ci mettano il 50% delle risorse necessarie agli aumenti è inaccettabile.

Questa l’unica difficoltà?

Purtroppo no, l’atteggiamento che Uneba ha tenuto è altrettanto inaccettabile, hanno provato a tirare per le lunghe la trattativa proponendoci, questa primavera, di dare un anticipo di 50 euro lordi, pari a circa 35 netti per un livello 4S, anticipo riassorbibile nei successivi aumenti ma dicendoci contestualmente che loro ragionavano di non essere nelle condizioni di firmare il contratto prima di giugno 2025. Insomma una ulteriore dilazione del rinnovo contrattuale con ulteriore perdita del potere di acquisto dei salari già fortemente colpiti da tre anni di inflazione a doppia cifra. Non avevamo alternativa che quella di attivare presso il ministero del Lavoro lo stato di agitazione che si è caratterizzata con sit-in e mobilitazioni, fino ad arrivare allo sciopero. Sciopero che proprio perché arriva a valle di una lunga mobilitazione pensiamo andrà bene.

Quali sono le vostre richieste?

Abbiamo alle spalle un rinnovo importante, quello della Cooperazione sociale in cui abbiamo portato incrementi salariali, per tutto il personale, superiore al 12%, 12 e mezzo per cento, ma un costo complessivo per il datore di lavoro è superiore al 18 perché abbiamo fatto delle operazioni di riqualificazione professionale, abbiamo aumentato i diritti sulla maternità eccetera. Certo, il contratto della Cooperazione è più grande dal punto di vista dei lavoratori e lavoratrici cui si applica, ma pensiamo che questa con Uneba, sul piano del risultato da portare a casa, se non uguale debba essere in linea con quei contenuti lì. Al momento siamo molto lontani.

Se non capisco male stiamo parlando di un settore, e quindi di un contratto, a elevata densità di manodopera femminile, e quindi si pone anche una questione di gender pay gap.

È cosi, non c'è dubbio, esiste tema di condizioni di lavoro che riguardano in particolare il personale femminile. Questo, quello del Terzo settore è uno di quelli dal quale, proprio causa delle basse retribuzioni e delle condizioni di lavoro pesanti, abbiamo assistito a un turnover fortissimo, più alto di quello che c'è stato ad esempio in sanità pubblica. Anche per questo c'è bisogno di investire sugli stipendi, c’è bisogno di dare più diritti a queste lavoratrici e lavoratori. Queste le ragioni della vertenza.

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L'Associazione datoriale dice il 50% degli aumenti deve essere garantito dalle Regioni. Le Regioni dicono ci piacerebbe molto ma non abbiamo i soldi nemmeno per la sanità pubblica. Come se ne esce?

Innanzitutto una notizia, 4 giorni fa lo scorso 12 settembre, abbiamo avuto un incontro con Uneba, ci hanno convocato in corner per cercare di sventare lo sciopero e, grazie mobilitazione di queste settimane, la pregiudiziale che loro avevano messo all'inizio rispetto al finanziamento del 50% dal pubblico è venuta meno. Certo, ci hanno detto di essere disponibili a rimuovere quella pregiudiziale, ora si tratta di sedersi e provare a capire quante risorse mettono sul tavolo per fare il contratto. Ovviamente lo sciopero è confermato perché finché non capiamo qual è la quota che mettono a disposizione e se è adeguate, finché non capiamo come intendono intervenire su una serie di altri istituti, non siamo nelle condizioni di revocare un bel niente. Detto ciò, per venire alla tua domanda, è evidente che il tema delle tariffe e quindi delle risorse pubbliche esiste e lo pongono tutte le associazioni datoriali. La questione è chiara, esiste un problema di finanziamento del welfare che deve essere anche in carico al governo, non solo alle Regioni, altrimenti si continuerà a procedere nella riduzione del perimetro pubblico. Il problema esiste ed è rilevante, riguarda il settore del welfare nel suo complesso, quello tutto pubblico e quello privato convenzionato. Ma occorre tenere gli occhi aperti per evitare diversificazioni a livello territoriale, mi spiego, esistono realtà dove le tariffe sono state adeguate, altre dove si fa molta più fatica. Proprio per evitare ulteriori diseguaglianze, con il contratto alla Cooperazione sociale abbiamo istituito un Osservatorio Nazionale sugli appalti, poi a cascata si sviluppa su tutti i territori, proprio per verificare congiuntamente la congruità degli appalti e fare in modo che le centrali appaltanti predispongano i capitolati per gli accreditamenti in maniera tale da consentire di retribuire adeguatamente le lavoratrici lavoratori.

Lo dicevi un attimo fa, la mobilitazione paga, dopo lunedì cosa?

Contiamo sul fatto che lo sciopero sia un’ulteriore pressione, ci aspettiamo un convocazione per aprire una trattativa finalmente vera, con una disponibilità di risorse adeguata e che si possa nei tempi più rapidi possibile sottoscrivere un buon contratto. Se la convocazione non arrivasse noi non ci fermeremo.