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“I dazi danneggiano tutti, anche chi li impone”. Per il professor Vincenzo Comito, noto economista e componente della redazione di Sbilanciamoci, la misura annunciata dal presidente Usa Trump è sbagliata. Ma anche controproducente, poiché non porterà benefici al popolo statunitense, che ne subirà le ricadute sull’inflazione, sulla produzione e sull’occupazione.
Siamo dunque ormai alla vigilia di quello che Trump chiama il “giorno della liberazione”: mercoledì 2 aprile introdurrà i cosiddetti “dazi reciproci” nei confronti di qualsiasi Paese applichi tariffe o imponga barriere commerciali sui prodotti statunitensi, mentre giovedì 3 partiranno i dazi del 25 per cento sulle auto importate negli Stati Uniti.
Professor Comito, qual è la ratio di questa misura?
Trump si pone diversi obiettivi: alcuni sono ufficiali, altri “non detti”. Il presidente vorrebbe anzitutto ridurre di molto il deficit della bilancia commerciale degli Stati Uniti: nel 2024 nel campo delle merci è stato di circa 1.210 miliardi di dollari, quindi negativo, mentre per quanto riguarda i servizi è stato positivo per circa 293 miliardi di dollari. Dunque, il saldo della bilancia commerciale nel 2024 è stato negativo per circa 926 miliardi, contro i 773 del 2023.
Quali sono gli altri obiettivi “ufficiali”?
Il secondo obiettivo è spingere le imprese di tutti i settori, compreso quindi quello dell’auto, a produrre in casa: è opportuno ricordare che, nel settore specifico dell’auto, la metà delle vetture vendute negli Stati Uniti sono fabbricate all’estero. Il terzo è fare cassa, ossia raccogliere denaro per poter ridurre le tasse agli americani.
E l’obiettivo “ufficioso”?
Trump vuole dimostrare che sono ancora gli Stati Uniti a comandare il mondo. In realtà, però, dietro il suo bullismo si nasconde una grande debolezza: gli Stati Uniti, infatti, stanno perdendo sempre più potere sia in campo economico sia in campo politico.


Tornando agli obiettivi “ufficiali”, crede che saranno raggiunti?
Molto parzialmente, alla fine il bilancio sarà piuttosto misero. Creare nuovi posti di lavoro negli Stati Uniti nel settore industriale è difficile: i posti si creano nei servizi, la quota di posti nell’industria è in calo costante. E poi gli Stati Uniti non hanno più un’organizzazione adeguata o una manodopera specializzata per produrre molto di più. Gli obiettivi di Trump, dunque, sono difficilmente raggiungibili. Va anche detto, però, che alcune case automobilistiche stanno pianificando di aprire nuove fabbriche negli Stati Uniti, proprio per far fronte a questa “guerra” dell’auto.
L’Associazione europea dei costruttori di automobili (Acea) esorta Trump “a considerare l’impatto negativo delle tariffe non solo sulle case automobilistiche globali, ma anche sulla produzione nazionale degli Stati Uniti”. I dazi possono danneggiare anche chi li ha imposti?
Sì, i dazi danneggiano tutti, anche chi li applica. I consumatori statunitensi pagheranno di più per acquistare una vettura, mentre i modelli disponibili si ridurranno. È vero che alcune case automobilistiche avvieranno la produzione negli Stati Uniti, ma ci vorranno anni prima di vedere la prima vettura uscire fuori da questi impianti. Con l’aggravante che l’ambiente Usa non è più così capace di varare nuove iniziative industriali.
I contro-dazi europei (e di eventuali altri Paesi) a cosa potranno servire?
Le contromisure che verranno dai Paesi colpiti dai dazi aggraveranno la situazione degli Stati Uniti, agendo sull’inflazione, sulla carenza di produzione e sulla diminuzione dell’occupazione, a causa del fatto che i Paesi stranieri acquisteranno meno prodotti degli Stati Uniti. In generale, mi sembra che già si avvertano negli Stati Uniti i primi sintomi di un rallentamento dell’economia.
Secondo gli analisti di Bloomberg Intelligence i produttori tedeschi (come Porsche e Mercedes) dovrebbero essere i più colpiti, ma l’impatto sarebbe comunque importante per tutti i produttori europei. Condivide quest’opinione?
Certamente i più colpiti dai dazi sono i tedeschi, su questo non v’è dubbio. Nel 2024 l’Unione Europea ha esportato negli Stati Uniti circa 640 mila vetture, di queste circa 440 mila sono tedesche. Nell’intera Unione, con i dazi, si stima una perdita di circa il 30 per cento delle vendite e una perdita tra i 6 mila e i 23 mila posti di lavoro.
Concludiamo con l’Italia. Quali possono essere le conseguenze dei dazi statunitensi sulle imprese nazionali (soprattutto quelle di componentistica) del settore automotive?
Le esportazioni di auto dall’Italia verso gli Stati Uniti si aggirano intorno ai quattro miliardi di dollari, mentre quelle della componentistica intorno a un miliardo. Sembrano cifre basse rispetto, ad esempio, alle esportazioni messicane negli Stati Uniti, che solo nel campo delle auto – escludendo dunque la componentistica – si aggirano sui 78 miliardi di dollari, ma sono comunque cifre ragguardevoli. A questo si aggiungono altri problemi che toccano sia i componentisti sia Stellantis.
Quali problemi?
I componentisti sono alle prese con la depressione del mercato dell’auto sia in Italia sia in Germania, che sono i due mercati principali, quindi c’è già un calo nelle vendite. Bisogna poi aggiungere il cambiamento tecnologico e l’arrivo dell’elettrico, che sta spiazzando molte imprese di componentistica. Infine, occorre rilevare che diversi componentisti italiani hanno aperto fabbriche in Messico, seguendo Stellantis e altre case europee, ritrovandosi quindi ora con tante difficoltà.
E appunto, per quanto riguarda Stellantis?
Oltre ai quattro miliardi di esportazioni di cui parlavamo all’inizio, occorre rilevare che Stellantis produce e vende negli Stati Uniti anche da altri Paesi europei, e poi anche dal Messico e dal Canada dove possiede alcune fabbriche: il calo di produzione, dunque, potrebbe essere consistente. Da ultimo, è necessario ricordare che Stellantis già sta perdendo quote di mercato nell’Unione Europea, visto che sta passando dal 18 per cento a poco più del 16.