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L’introduzione del salario minimo orario non dà una risposta esaustiva alla complessità del mercato del lavoro, “dove sono presenti lavoro povero, lavoro frammentato, lavoro sommerso, lavoro nero, lavoro grigio, contratti pirata, dumping contrattuale negli appalti e subappalti. Insomma, esiste una situazione così degenerata, che è anche una diretta conseguenza della crisi”. Così Ivana Galli, segretaria confederale Cgil, oggi ai microfoni di RadioArticolo1.
I contratti di lavoro, che si prendono a riferimento, devono essere certificati da una rappresentanza sindacale. “Perciò serve una legge sulla rappresentanza che certifichi chi può firmare i contratti di lavoro, anche per evitare il dumping, soprattutto negli appalti, dove ogni azienda tende a scegliersi il contratto da applicare al ribasso. Insomma, i contratti devono essere firmati dalle organizzazioni datoriali e sindacali maggiormente rappresentative. Il Testo unico sulla rappresentanza, siglato nel 2014 da Cgil, Cisl, Uil e Confindustria, per essere attuato deve passare per un’apposita convenzione stipulata da Inps e ministero del Lavoro, ma, al momento, è tutto bloccato”, ha proseguito la sindacalista.
“C’è necessità di fare pulizia, perché gli attuali 800 contratti sono troppi. E sarebbe sufficiente recepire in una norma legislativa il Testo unico del 2104 per dare risposte esaurienti, attraverso una certificazione della rappresentanza che dovrebbe essere un valore per tutti. Invece ci sono ostacoli, c’è reticenza e non si capisce il perché. O meglio, lo si comprende: è la volontà della disintermediazione e di non considerare i corpi intermedi non riconoscendo il valore della loro rappresentanza. Con il risultato che c’è sempre più lavoro precario, sommerso, illegalità, e si compete sull’abbassamento del costo del lavoro e non sulla qualità e sull’innovazione. Ovviamente, il quadro non è generalizzato, ma riguarda specifiche realtà produttive e diversi grandi colossi che appaltano e subappaltano senza rispettare alcuna regola. È lì che bisogna intervenire, con un intervento serio di mappatura, individuando quali sono settori, zone e aree a rischio, dove ci sono lavoratori – giovani, ma soprattutto coloro che hanno perso il lavoro e hanno più di 55 anni – costretti a subire condizioni di estremo sfruttamento. Anche in tal caso, la risposta non può essere così semplicistica risolvendo tutto con il salario minimo orario, ma si tratta di applicare i contratti nella loro interezza, non solo il minimo tabellare, dunque, ma anche i vari istituti normativi”, ha concluso l’esponente Cgil.