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Trentotto milioni di euro in Emilia Romagna, 40 milioni in Veneto. Sono le somme della cassa integrazione in deroga messe a disposizione per dare una mano alle aziende messe in ginocchio dall’emergenza Coronavirus e ai lavoratori il cui reddito in queste settimane è a rischio. Mentre i casi di contagio in queste due regioni continuano ad aumentare, si corre ai ripari con accordi che fanno da apripista per il resto dell’Italia, raggiunti dando seguito al dl 2 marzo 2020 n. 9 che prevede interventi a sostegno di aziende e lavoratori in Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. A sottoscriverli, in entrambi i casi, Regione, organizzazioni sindacali Cgil Cisl e Uil e associazioni di categoria, che nel caso dell’Emilia avevano firmato il Patto per il Lavoro.
“È un accordo importante, una prima boccata di ossigeno – spiega Paride Amanti, della segreteria regionale Cgil Emilia Romagna –, ma siamo solo agli inizi. Adesso servono altri interventi che vadano ad allungare e allargare la durata e gli strumenti per dare copertura complessiva. I bisogni stanno crescendo giorno dopo giorno, ora dopo ora. Senza contare che ci sono lavoratori che rimangono fuori, primi fra tutti quelli a partita Iva e i collaboratori. Inoltre, da noi assisteremo presto a situazione drammatica dal punto di vista occupazionale ed economico: mi riferisco al turismo e alla stagione della costa. Agli imprenditori e ai lavoratori stagionali bisognerà dare risposte concrete, strumenti di sostegno al reddito”. L’accordo prevede la possibilità per tutti i datori di lavoro dell’Emilia Romagna (tranne che per quelli di lavoro domestico) di usare la cassa integrazione in deroga quando non possono accedere ad altri ammortizzatori (Cigo, Cigs, Fis e Fondi di solidarietà bilaterale) oppure se ne hanno usufruito nei limiti massimi previsti.
Ad essere coperti, i lavoratori a tempo indeterminato, determinato, i somministrati, anche gli intermittenti e gli agricoli. Per il settore artigiano, i lavoratori hanno a disposizione un fondo e quando questo sarà esaurito potranno usufruire della cassa in deroga. L’unica condizione per tutti è che siano in forza il 23 febbraio 2020. Stessa data di partenza “retroattiva”, medesimi standard e stessa durata, un mese, anche per il Veneto. E anche qui per i sindacati i 40 milioni sono solo il punto di partenza: “Chiediamo di poter utilizzare tutti e 58 i milioni di euro che ha a disposizione la Regione – afferma Tiziana Basso, della Cgil Veneto – e un allargamento della copertura come tempi e come risorse. Con l’accordo firmato ieri abbiamo incluso tutti i lavoratori che non hanno accesso ad altri ammortizzatori, in particolare quelli di aziende che hanno da uno a 5 dipendenti nel settore dei servizi, del commercio, terziario, turismo, quindi bar, negozi, piccoli alberghi, che hanno deciso di chiudere a causa del calo fortissimo di clienti. E poi aziende del settore da 6 a 15 dipendenti, nel caso in cui la sospensione sia superiore al 60 per cento”.
Compresi nell’accordo anche coloro che hanno finito qualsiasi altro ammortizzatore, le aziende industriali che si trovano in difficoltà legate all’emergenza sanitaria e i singoli lavoratori: quelli che non hanno requisiti soggettivi e poi quelli a domicilio, una realtà molto diffusa in Veneto nel calzaturiero e nel tessile, che non godono di nessuno strumento di tutela del reddito. “In questo modo – conclude Basso – si potranno aiutare i datori di lavoro a non licenziare e le persone a non perdere il posto. Ma non sarà sufficiente. Confcommercio ha già ricevuto centinaia e centinaia di richieste, Venezia è già colpita, ma anche Verona, dove le strutture ricettive sono più piccole, sono chiuse e in prospettiva non hanno neppure prenotazioni”.