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“Quando i lavoratori sono privi di tutti i diritti contrattuali e operano sotto ricatto, non è più lavoro. È un’altra cosa, che si accosta alla condizione di servitù”. Jean Renè Bilongo, Flai Cgil, commenta così la recente operazione delle forze dell’ordine nei campi tra Gela e Acate, che ha portato alla denuncia di due imprenditori agricoli per lo sfruttamento di venti braccianti, provenienti dal Bangladesh e dalla Nigeria, tra i quali diverse donne. Sul loro contratto, nero su bianco, erano scritte condizioni capestro, un solo giorno di riposo a settimana e cinque euro l'ora, tra l’altro mai rispettate perché si traducevano in zero giorni di ferie, nessun diritto all'aspettativa né a permessi per malattia.
“Se la cronaca del lavoro del 2022 si apre con i drammatici fatti di sfruttamento nei campi a Caltanissetta – prosegue Bilongo –, questo è sintomatico della sfida che abbiamo ancora davanti. La violenza del caporalato, la stessa che lo scorso anno provocò l’omicidio del pakistano Adnan Sidique, per la morte del quale la Flai si è costituita parte civile al processo, chiama in causa tutti, nessuno escluso. Ognuno faccia la propria parte, per risanare l’economia del settore primario. Il caso di ieri, con la polizia in campo insieme agli ispettori dell’Inps, può e deve essere un esempio per le altre realtà istituzionali dei territori. Non c’è agricoltura senza lavoro regolare. Cancelliamo parole come lavoro nero, grigio, sfruttato, lavoretto”.
“Non si può avere una contrattazione di settore impegnativa, con istituti di tutela, cornici di welfare all’avanguardia e declaratorie allettanti – conclude il sindacalista –, se poi per una buona parte dei lavoratori tutto questo resta una chimera. Il contratto merita rispetto, caporali e sfruttatori devono essere neutralizzati. E va fatto vivere l’ecosistema di prevenzione dallo sfruttamento, attraverso la Rete del lavoro agricolo di qualità e le sue sezioni territoriali”.