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Sono tanti gli spunti per iniziare il racconto della straordinaria risposta di popolo che ha dato questa mattina Bologna. La strage della centrale Enel a Suviana, meno di 50 chilometri da qui, è sicuramente il primo di questi. Come un segno del destino, è proprio tra l’inizio e la fine del comizio in una piazza Maggiore piena come un uovo che sono arrivate le notizie del ritrovamento del quarto e del quinto cadavere giù alla diga.
Un punto dal quale partire sarebbe senz’altro la frase con cui il segretario della Cgil cittadina, Michele Bulgarelli, ha aperto il palco. “Bologna ha fatto Bologna”, ha risposto alla chiamata di Cgil e Uil come ci si aspetta da una città che non ha mai piegato la testa e non è mai rimasta indifferente di fronte alle ingiustizie.
Potremmo scegliere le parole durissime del segretario organizzativo della Cgil nazionale,
Gino Giov e, che qui è di casa ed è stato segretario generale per tanti anni in Emilia-Romagna. Ascoltandolo ci siamo ricordati del celebre “Io so” di Pier Paolo Pasolini. “Di queste stragi – ha detto Giove – conosciamo i responsabili e anche i mandanti”. E ha snocciolato le tappe di quella via crucis nella quale si è dissolto il nostro sistema di controlli pubblici e il nostro mercato del lavoro.Giove denuncia la voce che inizia a correre anche stavolta, quella comoda scorciatoia dell’errore umano che addossa ai lavoratori tutta la responsabilità. “In realtà è il sistema, l’organizzazione del lavoro che ti costringe all’errore”. Le responsabilità sono di chi “taglia sul sistema sanitario nei servizi di prevenzione. Taglia sull’ispettorato del lavoro. Di chi ha portato all’allungamento della catena degli appalti, fino all’appalto a cascata nel pubblico e nel privato. Di chi permette le gare al massimo ribasso. Di chi costringe i migranti a vivere e a lavorare come fantasmi. Di chi pensa che sia giusto che il mercato si regoli da solo, arricchendo i pochi e impoverendo tutti gli altri”.
Potremmo anche partire dalle parole dell’Arcivescovo Matteo Zuppi, tanto più semplici quanto più alti i concetti e forti le denunce. Contro la precarietà, contro la cupidigia degli imprenditori, favorita dal sistema.
Ma forse il modo più bello per raccontarla, questa mattina a Bologna piena di sole, di rabbia e di tristezza, è ricordare i volti della gente, quella che fa la Storia, come cantava De Gregori, “che quando si tratta di scegliere e di andare, te la ritrovi tutta con gli occhi aperti, che sanno benissimo cosa fare”.
15 mila, forse di più. Tanti ragazzi. Tanti operai. Tanta gente che non accetta, non riesce a comprendere come tutte queste stragi avvengano per guadagnare di più. Gente pronta alla solidarietà e alla lotta, a rinunciare, in un tempo di salari magri, al guadagno di una giornata. Per incrociare le braccia e protestare. Gente alla quale la politica deve risposte, a mano a mano che anche questa strage, come Brandizzo o Firenze o Thyssenkrupp, spingendo la notte più in là, non riesce più a nascondere il marcio che c’è dietro.
Gli allarmi inascoltati, le catene di appalti a cascata nella quale la cronaca si perde per sempre, ma la verità emerge chiara: per aumentare i margini si risparmia sul costo del lavoro dando all’esterno tutto ciò che si può, selezionando le ditte con il criterio del massimo ribasso, erodendo salario e diritti, chiudendo i propri occhi e le bocche altrui.
E in piazza resta la rabbia senza rassegnazione perché la Cgil, la Uil, questa gente, “non si arrenderanno mai”. Restano i fantasmi di tutte quelle vittime uscite di casa per andare a lavoro e mai più tornate. Resta “il rimpianto dell’amore non vissuto” e che nessuno potrà mai risarcire.