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Pur essendo l’agenzia deputata ad occuparsi di prevenzione delle malattie fra la popolazione e nei luoghi di lavoro, nelle fasi iniziali e più dure della pandemia non è riuscita a proteggere i suoi stessi dipendenti, dimostrandosi inadempiente di fronte all’obbligo di tutelarne la salute e la sicurezza nelle proprie sedi: con questa accusa rivolta ad Ats Bergamo la Fp Cgil provinciale il 30 luglio 2020 aveva depositato un ricorso in tribunale (tecnicamente per comportamento anti-sindacale).
La sentenza, pronunciata lunedì 3 aprile dal giudice del lavoro del tribunale di Bergamo Elena Greco, riconosce ora le ragioni del sindacato.
“Lo sancisce anche il giudice, Ats non ha fatto quello che doveva per tutelare i propri dipendenti” ha dichiarato Roberto Rossi, che nel 2020 era segretario generale della Fp Cgil provinciale (che oggi è segretario organizzativo della Cgil di Bergamo). “Ripetutamente nei primi giorni della crisi sanitaria abbiamo denunciato la mancata adozione di misure adeguate e tempestive di protezione mediante la pubblicazione di numerosi comunicati e notiziari. Nel ricorso abbiamo denunciato in particolare le scelte operative effettuate da Ats Bergamo in tema di riunioni, spostamenti, assembramenti e distanziamento del personale dipendente, poiché l’agenzia fino alla metà del mese di marzo 2020 ha convocato in presenza numerose riunioni del personale senza adottare alcuna misura di prevenzione del rischio di contagio. Ha istituito poi presso la sede di via Galliccioli due call center con postazioni di lavoro ravvicinate senza prescrivere l’uso di Dpi e senza provvedere a un’adeguata sanificazione di locali e strumenti. E ha inoltre gravemente ritardato fino al maggio 2020 il monitoraggio della temperatura del personale in entrata nei luoghi di lavoro”.
“Non possiamo che essere molto soddisfatti di quanto deciso dal Giudice: è stata riconosciuta l’inadempienza dell’agenzia, ed è stato stigmatizzato il fatto che mentre in quelle settimane il personale di Ats, con professionalità, dava indicazioni alle aziende del territorio sulle corrette procedure da applicare per evitare i contagi, la loro stessa azienda non ne prevedeva l’adozione” aggiunge Rossi. “Oltre a riconoscere il comportamento anti-sindacale tenuto da Ats nei confronti della Fp Cgil, la sentenza sancisce anche la titolarità che il sindacato ha nel presentare ricorsi e nell’esigere il rispetto delle norme e delle disposizioni per la salute e la sicurezza all’interno delle aziende”.
Importante sottolineare come nella sentenza il giudice si riferisca ad Ats come datore di lavoro con “natura ‘qualificata’ di ente preposto alla ‘tutela della salute’ della collettività”.
Nella sezione dedicata ai motivi della decisione, la sentenza recita: “Gli esiti della istruttoria documentale e testimoniale hanno fatto emergere quanto meno due categorie di adempimenti non adeguati rispetto all’obbligo di cui all’art. 2087 c.c.: la convocazione e celebrazione in presenza delle riunioni del personale per la organizzazione delle misure da adottare per fronteggiare l’epidemia; l’organizzazione del servizio di call center nell’ambito di sale riunioni mediante la collocazione dei lavoratori attorno al medesimo tavolo, senza l’utilizzo di barriere divisorie tra un lavoratore e l’altro”.
L’istruttoria testimoniale ha confermato poi “come l’Agenzia convenuta abbia organizzato la riunione del 2.3.2020 sollecitando i dipendenti a parteciparvi numerosi, predisponendo per lo svolgimento della riunione una sala risultata inadeguata ed incapiente (tanto che molteplici lavoratori rimasero in piedi e senza alcuna sorta di distanziamento), non prevedendo la massiccia distribuzione a tutti i partecipanti delle mascherine o di altri DPI, bensì rimettendo ai singoli la valutazione circa l’opportunità di reperirle ed indossarle”.
“Secondo le risultanze dell’istruttoria, poi, la datrice di lavoro non ha assunto iniziative tempestive in relazione ad altre misure di semplice adozione, quali ad esempio la sottoposizione del personale alla misurazione della temperatura al momento dell’ingresso sul luogo di lavoro (che è stata preceduta dalla introduzione del solo obbligo di autocertificazione della temperatura corporea autorilevata dal singolo lavoratore e in difetto peraltro di una effettiva attività di controllo da parte del datore di lavoro) e la mancata formazione dei lavoratori sulle misure di sicurezza personale da adottare”.
Il giudice rileva poi come Ats “abbia operato con efficienza nell’individuare misure di prevenzione tese ad evitare il contatto dei propri dipendenti con i soggetti non dipendenti, tanto appunto che le ordinarie attività esterne furono sospese, l’ingresso del pubblico venne vietato e i soggetti aventi contatto con l’esterno vennero sottoposti a costante monitoraggio, ma non ebbe altrettanta visione organizzativa nel predisporre le misure di prevenzione e sicurezza all’interno dei luoghi di lavoro, (…) come se il virus Sars-Cov2 fosse solo all’esterno e non potesse annidarsi anche all’interno degli uffici”.
Ats è stata anche condannata a corrispondere alla Funzione pubblica Cgil di Bergamo, a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale all'immagine, la somma di 5.000 euro, oltre al pagamento delle spese legali.
Per illustrare la sentenza, sono intervenuti il 7 aprile in un incontro con la stampa Marco Toscano, segretario generale della Cgil di Bergamo, il segretario organizzativo Roberto Rossi (che al momento del ricorso guidava la categoria della Funzione pubblica), Angelo Chiari, per la segreteria provinciale responsabile delle Politica di Salute e Sicurezza sul Lavoro, Giuseppe Marasci, lavoratore di Ats Bergamo e lì rappresentante della Fp Cgil, e Giorgio Locatelli, attuale segretario generale della Fp Cgil rovinciale.