Spazio di dialogo, confronto tra religioni e popoli, culla della civiltà. Il Mar Mediterraneo, e in particolare lo Stretto di Sicilia, è spesso vissuto e raccontato come un’area pacifica in cui i tre continenti che vi si affacciano, Europa, Africa e Asia, si abbracciano in una stretta fraterna e amichevole. Questo è l’immaginario che abbiamo costruito e a cui vogliamo credere. Nelle onde del Mare Nostrum però si effettuano traffici spesso illegali, dal contrabbando di armi alla tratta di migranti, e si giocano partite economiche che stanno assumendo sempre maggiore rilevanza.

I pescherecci siciliani, specie quelli della marineria di Mazara del Vallo, sono da sempre al centro di un conflitto, la cosiddetta “guerra del pesce” anzi del gambero rosso, l’oro rosso della Sicilia, un prodotto che può costare dai 50 ai 120 euro al chilo a seconda del mercato e della stagione. Un conflitto che si apre negli anni Sessanta con la Tunisia, prosegue con la Libia, si alimenta con scontri in tono minore con la Turchia, nonostante i nostri pescherecci siano autorizzati a pescare in tutto il Mediterraneo.

Al largo della Tunisia

A quell’epoca l’area contesa era il Mammellone, un tratto di mare molto pescoso a sud di Lampedusa, e a est della Tunisia. Pur essendo in acque internazionali, nel 1951 Tunisi con atto unilaterale la dichiarò zona di pesca riservata e di ripopolamento ittico, vietandola così agli italiani. Da allora molte imbarcazioni furono confiscate, gli equipaggi fermati. Nell’agosto del 1960, la guardia costiera tunisina apre il fuoco contro il peschereccio italiano Salemi, e uccide a mitragliate l'armatore Luigi Licantini e il comandante Antonino Genovese. È il primo episodio, la prima vera dichiarazione di “guerra”. Le cronache riportano la promessa dei marinai mazaresi: avrebbero armato con mitragliatrici i loro pescherecci prima di uscire in mare. Negli anni successivi, dopo un tentativo diplomatico di conciliazione e ricucitura, l’Italia si accorda con la Tunisia: pagherà un canone annuo per condurre l’attività di pesca nelle zone contese. Ma nonostante questo, le rappresaglie proseguiranno.

Il golfo della Sirte

La vita dei pescatori siciliani si complica ulteriormente quando il colonnello Gheddafi leader della vicina Libia, stabilisce nuovi confini per il golfo della Sirte, la contestata fetta di mare che secondo Tripoli è parte integrante delle sue acque territoriali e che per la legislazione è da considerarsi invece zona di acque internazionali. Una disputa che nel 2005 ritorna di attualità quando la Libia usa la sua chiusura come linea di base da cui far partire la Zona economica esclusiva estendendola di altre 62 miglia al di là delle 12 miglia delle acque territoriali. Una decisione unilaterale la cui legittimità l’Unione Europea, a nome degli Stati membri, mette in discussione. In quella fascia di mare, manco a dirlo, si pesca il gambero rosso, ed è lì che da una ventina d’anni a questa parte le motovedette libiche perseguitano i pescatori siciliani. Ed è lì nel golfo della Sirte, che si affrontano le forze fedeli al governo di Tripoli e quelle che combattono a fianco del maresciallo Khalifa Haftar.

Gli altri interessi

Ma la pesca d’altura è solo uno dei fattori del conflitto che vede al centro il mare Mediterraneo. Mentre i nostri pescatori hanno sempre meno spazio a disposizione per svolgere la loro attività, lì dove invece la flotta avrebbe bisogno di grandi superfici, tutti i Paesi stanno accampando maggiori diritti sul mare, in qualche modo “territorializzandolo”. Gli interessi sono tanti e tutti economici: risorse minerarie, come gas e petrolio, aree per la costruzione di oleodotti e metanodotti, senza contare il futuro energetico che molti prefigurano, con enormi parchi eolici off-shore che sottrarranno sempre di più miglia di pesca. Se poi tutti i Paesi decidessero spostare in modo unilaterale di allargare le loro Zone esclusive, all’Italia non rimarrebbero altro che poche miglia di mare.

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