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Queste modifiche non s’hanno da fare, per lo meno non così come sono state pensate dal governo. La riforma del codice degli appalti approvata dal Consiglio dei ministri, in vigore da aprile 2023, uno dei obiettivi del Pnrr, (Piano nazionale di ripresa e resilienza) che ha posto il tema di accelerare procedure e cantieri, reintroduce una serie di meccanismi peggiorativi per il sistema e per i lavoratori.
Quattro milioni di lavoratori
A partire dal subappalto "a cascata", che rischia di peggiorare sicurezza, diritti e salari per 4 milioni di addetti del settore, e poi il depotenziamento del ruolo dell’Anac (Autorità anticorruzione) e il ritorno alla disciplina degli anni Duemila, l’epoca degli extracosti e delle grandi opere incompiute. Lo sostiene l’organizzazione di categoria Fillea Cgil, che unitariamente a Filca Cisl e Feneal Uil aveva chiesto al governo un tavolo di confronto serio con le parti sociali su questo decreto attuativo e che adesso promette battaglia.
Velocizzare, ma senza rischi
“Noi siamo i primi a volere un codice degli appalti che metta a terra il Pnrr, siamo per fare veloci, ma siamo per fare le cose per bene – spiega a Collettiva il segretario generale Fillea Alessandro Genovesi –. Perché se velocità vuol dire più incidenti, più zone grigie e meno garanzie, non ci stiamo. Non si è mai visto un provvedimento che tocca la carne viva di milioni di lavoratori, che incide su fattori importantissimi come la salute e la sicurezza, senza che per l’approvazione vengano consultati i sindacati”.
Bene Parlamento e Consiglio di Stato
Per spiegare questa complessa situazione, il dirigente sindacale fa ricorso alla metafora: “Siamo di fronte a una situazione alla dottor Jekyll e Mr. Hyde – dice –. Il Parlamento della passata legislatura è il dottor Jekyll, ossia i buoni: ha varato la legge delega 78 del 2022 con i suoi principi molto avanzati. Lo stesso ha fatto il Consiglio di Stato, incaricato dal governo Draghi di riscrivere il Codice del 2016, il cui operato nel redigere il testo è stato davvero positivo. Poi c’è il nuovo governo che con questa riforma si comporta come Mr. Hyde, i cattivi”.
Subappalto a cascata
Quali sono le modifiche contestate? Innanzitutto la liberalizzazione del subappalto “a cascata”, che porterà nel settore pubblico quanto di peggio già accade in quello privato: la frammentazione dei cicli produttivi, un incentivo al nanismo aziendale, la nascita di società “scatole vuote”. In pratica, imprese senza dipendenti che prenderanno in appalto lavori pubblici, per poi subappaltare la commessa ad altre, che subappalteranno a loro volta, ancora e ancora in una catena senza fine.
Controlli difficili
“Oggi il comma 19 dell’articolo 105 consente un solo livello di subappalto – prosegue Genovesi –. Con l’abrogazione di questo comma, si liberalizza il meccanismo del subappalto rendendo difficilissimi i controlli per le stazioni appaltanti, per i sindacati, per le prefetture. Provate a immaginare se è possibile verificare tutele, rispetto del contratto, sicurezza nel cantiere dove ci sono 7-8 livelli di appalto. Inoltre, e questo è un dato statistico, quando si allunga la filiera aumentano anche gli infortuni, i carichi di lavoro, lo sfruttamento, le zone grigie, il rischio di infiltrazioni criminali”.
Senza confini
Poi c’è il depotenziamento dell’Autorità anticorruzione, di cui viene ridimensionato il ruolo di parte terza, e l’allargamento dell’appalto integrato, cioè l’affidamento di progettazione ed esecuzione di un’opera allo stesso soggetto, meccanismo che cancella i confini tra controllore e controllato e che fa lievitare i costi. Prima era previsto solo come un’eccezione, la riforma lo liberalizza del tutto: elimina la soglie e lo consente per qualsiasi tipo di appalto, anche per la manutenzione straordinaria.
I tempi di attraversamento
“In questo modo si torna alla legge Obiettivo di berlusconiana memoria che, come tutti sanno, non ha funzionato: produsse miliardi di extracosti e lasciò diverse incompiute – conclude Genovesi –. Non è questa la strada giusta per semplificare e accelerare. Bisogna ridurre i cosiddetti tempi di attraversamento: se la media per realizzare un’opera pubblica è 12 anni, due terzi, ovvero 8 anni trascorrono per controlli, bando, gara, aggiudicazione, e quattro per l’esecuzione. È lì che bisogna intervenire e non nel lasciare spazio alle catene del subappalto”.