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È il momento dei lavoratori dello spettacolo. Dopo il decreto del governo che ha disposto la chiusura di cinema e teatri, gli uomini e le donne del settore scendono in piazza e aprono la mobilitazione. Venerdì 30 ottobre si svolgono presìdi in tutte le città del Paese, per chiedere la giusta attenzione al mondo della cultura e a tutti coloro che ci lavorano. Non stiamo parlando solo di grandi nomi, registi e attori famosi che sono una minoranza: si tratta troppo spesso di un mondo sconosciuto, fatto di lavoratori comuni già in difficoltà, che ora sono rimasti senza occupazione.
Come Valeria Russo, 30 anni, che fa la danzatrice e performer, oltre che insegnare la sua disciplina. "Sono ferma in tutte le attività - esordisce -: da una parte non sono permessi gli spettacoli dal vivo, dall'altra la chiusura delle palestre ci toglie l'insegnamento della danza". In tal senso i danni di aver posto i sigilli non sono soltanto immediati, ma anche di lungo periodo: "Spesso i lavoratori del nostro settore fanno essi stessi impresa - spiega -: se oggi chiudi una palestra domani non riapre più. Molti centri già devono pagare stipendi e spese arretrate, dovute alla prima chiusura, fermarsi ora significa certamente il fallimento". Senza contare i corsi professionali di danza: "Durano in media dieci mesi e richiamano in Italia studenti da tutto il mondo: non potendoli iniziare i ragazzi stranieri se ne vanno e richiedono i soldi indietro, come previsto dai contratti in tempo di Covid. Insomma salta l'anno".
Il governo ha fornito una prima risposta con il decreto ristori. "Un mese di ristoro? - sorride amaramente Valeria - E cosa ci facciamo? Dopo lo stop dei teatri io sono assolutamente immobile. Come me molte danzatrici. Sto aspettando ancora i mille euro di giugno". Oltre alle difficoltà concrete, poi, c'è un aspetto psicologico da non sottovalutare: "Si può andare al bar o al ristorante fino alle 18 mentre cinema e teatri sono chiusi. C'è stata una discriminazione: ci hanno fatto sentire lavoratori di serie B. Se tutti gli altri lavorano in sicurezza, perché non possiamo farlo noi? La cultura non è un concetto astratto, come spesso si pensa, ma un settore di lavoro preciso e concreto: migliaia di persone vivono e mangiano grazie a questo. Ci vorranno generazioni, temo, per operare una presa di coscienza su cos'è davvero la cultura".
Nella costellazione dello spettacolo c'è una figura che sta sempre dietro le quinte, eppure è essenziale per il suo svolgimento: quella del tecnico. Fa questo mestiere Davide Fatemi, tecnico, fonico freelance e proprietario di un'azienda di persone come lui. "Il Dpcm ha totalmente bloccato il nostro lavoro e ogni prospettiva - racconta -. Anche quando ripartiremo ci vorranno mesi, se non anni per tornare alla normalità. Normalità che era già disastrosa". I tecnici dello spettacolo hanno bisogno di regole chiare di comparto: "Servono tutele inglobate nei rapporti di lavoro e bisogna ottenere il riconoscimento delle figure professionali, come previsto dalla legge 4/2013".
I tecnici dello spettacolo sono infatti estremamente specializzati: "Occorre trovare un equilibrio tra le paghe dei lavoratori discontinui dello spettacolo e le paghe mensili di ogni altro settore, altrimenti continuerà a sembrare normale che un anno contributivo di un lavoratore dello spettacolo abbia un importo inferiore alla soglia di povertà". Inoltre le indennità inserite nei decreti (da 600 a mille euro) per lavoratori dello spettacolo e intermittenti "sono gestite in maniera lenta, non coordinata e con innumerevoli errori di interpretazione da parte di singoli dirigenti Inps. Con molti mesi di ritardo, stiamo andando in ogni singola provincia a cercare singoli dirigenti che abbiano cura di ascoltarci, e verificare con noi gli errori dei loro sistemi".
Sul fermo dello spettacolo, Fatemi riflette così: "Non spetta a noi decidere quando chiudere tutto. Se lo Stato dice che è necessario lo facciamo, ma a patto che lo Stato ci dia i mezzi per stare a galla e non etichetti gli spettacoli come luoghi non sicuri. Sono molto più sicuri di quasi la totalità delle altre attività, trasporti compresi".
Carlotta Viscovo fa l'attrice e coordina la sezione nazionale Attori della Slc Cgil. "Per me l'attività non è mai ricominciata - afferma -, i lavori persi non li ho più recuperati, ho fatto qualche audiolibro. Sono riuscita a finire solo un laboratorio con una scuola di teatro, che si è concluso una settimana prima del decreto. Altrimenti saltava anche quello". La chiusura è stata un errore, soprattutto in questo momento storico: "Cinema e teatri dovevano restare aperti, perché proprio in un momento di difficoltà alla popolazione serve l'accesso alla cultura in ogni sua forma: davanti a una tragedia epocale bisogna dare la possibilità alle persone di formarsi e distrarsi". La salute resta naturalmente al primo posto: "Non voglio dare un giudizio scientifico sulla dura battaglia contro il virus - specifica l'attrice -: la salute è centrale, certo, ma vale per tutti, anche per noi lavoratori dello spettacolo. Se è vero che nelle sale cinematografiche non ci sono stati contagi nel pubblico, alcuni lavoratori sono risultati positivi, come quelli del coro del Teatro La Scala. Tanti spettacoli sono stati sospesi per positività degli artisti. Ecco, quando si ripartirà occorre tutelare la sicurezza di tutti, compresa la nostra".
I lavoratori manifestano in tutta Italia, nel rispetto delle norme anti-Covid. Così Carlotta Viscovo: "Scendo in piazza perché ancora una volta è stata presa una decisione senza averci ascoltato: nessuno ha interpellato i sindacati. Si dimostra di non conoscere il settore, si prendono decisioni senza informarsi". Davanti alla catastrofe di oggi si prova anche a guardare al futuro. Ecco cosa bisogna fare: "Occorre aprire un tavolo permanente con il ministero dei Beni culturali e quello del Lavoro. Vogliamo che gli uomini e donne dello spettacolo siano riconosciuti alla pari di tutti altri lavoratori, con i loro diritti e tutele. In questo senso appoggiamo pienamente il disegno di legge in discussione in Parlamento".