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La fine del mondo (industriale) ha una data: 17 agosto. Da quel lunedì le aziende italiane potranno tornare a licenziare, a meno che il governo decida – come il ministro dell’Economia Gualtieri ha lasciato intendere – di prorogare il blocco stabilito per l’emergenza epidemiologica. Uno stop che sta per ora frenando la probabile emorragia di posti di lavoro: gli addetti impiegati in aziende in crisi sono circa 80 mila (ma la stima è calcolata per difetto), circa 300 mila sono quelli coinvolti in imprese in difficoltà conseguenti agli effetti del Covid-19.
Una situazione esplosiva, dunque, che Fiom Cgil, Fim Cisl e Uilm Uil portano oggi (giovedì 25 giugno) all’attenzione della pubblica opinione. A Roma, infatti, è prevista la manifestazione nazionale “Cento vertenze”, l’appuntamento è alle ore 10.30 in piazza del Popolo. Intervengono dal palco delegate e delegati provenienti da aziende in crisi, prendono la parola anche Francesca Re David (segretaria generale Fiom Cgil), Rocco Palombella (segretario generale Uilm Uil) e Marco Bentivogli (segretario generale Fim Cisl).
“L’emergenza Covid-19 ha peggiorato la situazione delle crisi industriali che affrontiamo da anni nei settori della siderurgia, dell’automotive e dell’elettrodomestico”, spiegano i sindacati: “A queste se ne aggiungono di nuove, come quelle nel settore dell’avionica civile e quelle delle piccole e medie imprese che con il calo dei volumi di mercato possono diventare drammatiche, mettendo a rischio centinaia di migliaia di posti di lavoro e buona parte della capacità industriale”. Per Fiom, Fim e Uilm è “essenziale che il governo utilizzi le risorse nazionali ed europee per realizzare un reale ‘green new deal’, investendo nei settori strategici dell’industria”.
Una considerazione che spinge Francesca Re David, segretaria generale della Fiom Cgil, a sollecitare “soluzioni per le vecchie e le nuove crisi industriali, tutte senza risposta”. L’esponente sindacale evidenzia che “durante l’emergenza dovuta alla pandemia del Covid-19 abbiamo chiuso le fabbriche, con scioperi e fermate delle attività produttive, per la salute di tutti”. Una situazione che ora, in piena “ripartenza”, necessita di nuove misure: “Vogliamo tavoli di settore sugli asset strategici, il blocco dei licenziamenti e ammortizzatori sociali rinnovati e universali che sostengano l’occupazione, la formazione e la riduzione degli orari”.
Francesca Re David esorta esecutivo e Parlamento a “un rinnovato intervento pubblico in economia per dare risposte concrete ai lavoratori e per dare prospettiva all’industria metalmeccanica nel rispetto di vincoli sociali e ambientali”. E non manca di sottolineare quanto sia “inaccettabile che il governo possa pensare a nuove politiche industriali senza discuterle con i lavoratori e il sindacato”, bacchettando anche Confindustria, che “sbaglia quando annuncia di voler superare il contratto nazionale”. Per la leader Fiom, in conclusione, il lavoro “va valorizzato e non impoverito: dobbiamo rimettere al centro le persone e le loro competenze, difendendo e rilanciando il ruolo della contrattazione, a partire dal contratto nazionale dei metalmeccanici”.
I tavoli di crisi monitorati dal ministero dello Sviluppo economico sono 144: di questi, più di 80 appartengono al settore industriale, con punte preoccupanti nell’automotive e nella siderurgia. Il dato, però, si riferisce al dicembre 2019: è presumibile, purtroppo, che la realtà attuale sia ben peggiore. Molti tavoli sono attivi da parecchi anni, in taluni casi (28 aziende) anche più di sette. Su base regionale, il maggior numero riguarda imprese con sedi o unità produttive prevalentemente ubicate in Lombardia (corrispondenti al 13,4 per cento del totale), a seguire in Abruzzo (ossia il 7,3), Campania, Piemonte, Lazio e Toscana.
Dentro, ovviamente, c’è di tutto. C’è la reindustrializzazione dell’ex Bekaert di Figline Valdarno (Firenze), con 180 addetti da ricollocare; c’è la Jabil di Marcianise (Caserta), dove 540 lavoratori ancora non sanno cosa sarà del loro futuro; c’è la Acciai speciali Terni (2.350 dipendenti), che la proprietà ThyssenKrupp ha appena deciso di vendere. Il gruppo Dema (730 addetti) è alle prese con la ristrutturazione del debito, la Sider Alloys con la sostenibilità degli investimenti e degli interventi finanziari immediati, la Semitech (200 dipendenti) con il concordato liquidatorio. Ci sono i 5 mila esuberi dichiarati da ArcelorMittal, i 600 di Jp Industries, i 430 della Whirpool, i 415 della Ventures (ex Embraco), gli oltre 760 di Sirti, e poi ancora Jindal, ex Honeywell, Blutec, Kme e tutta la galassia Fca, alle prese con fusioni, riorganizzazioni e cassa integrazione.