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Da troppo tempo il servizio sanitario nazionale, un patrimonio fondamentale per un Paese civile, non riceve la giusta attenzione. Da troppo tempo osserviamo, spesso impotenti, una grande indifferenza nei confronti del progressivo indebolimento della sanità pubblica.
Eppure, dal momento della sua istituzione a oggi il Ssn ha contribuito a produrre in Italia il più marcato incremento dell’aspettativa di vita tra i Paesi ad alto reddito. Attualmente, invece, i dati dimostrano, e le persone sperimentano, la profonda crisi del sistema: difficoltà di accesso ai percorsi di cura, scarsa attenzione alla prevenzione, aumento delle diseguaglianze tra regioni e all’interno delle stesse.
Questo accade perché il Ssn è fortemente sottofinanziato: nel 2024 alla sanità pubblica sarà destinato il 6,4 per cento del Pil, meno di quanto destinato prima della pandemia e molto meno della media dei Paesi europei (2.107 euro contro 3.319 euro dell’Europa).
La sanità pubblica garantisce ancora a tutti una quota di attività (urgenza, ricoveri per acuzie, interventi salvavita), mentre per il resto (visite specialistiche, accertamenti diagnostici, piccola chirurgia, riabilitazione) arretra, e i cittadini sono costretti a rinviare gli interventi o a ricorrere ai servizi a pagamento.
Le lunghe liste di attesa stanno così abituando la popolazione a non considerare più la sanità pubblica il primo riferimento in caso di malattia, e stanno facendo riemergere un timore che da decenni era scomparso: la paura di non avere abbastanza soldi per potersi curare.
I professionisti della salute, il principale fattore produttivo su cui si regge qualunque sistema sanitario, sono sempre meno numerosi e sempre più demotivati, mentre dopo la pandemia avremmo dovuto proteggerli e riconoscerne il valore. Nell’attuale scenario è inevitabile che gli operatori siano sottoposti a una pressione insostenibile che si traduce in una fuga dal pubblico, soprattutto dai luoghi di maggior tensione, come l’area dell’urgenza. Le retribuzioni debbono essere adeguate ai livelli europei (pena la continua “esportazione” di professionisti) e devono essere garantite condizioni di lavoro sostenibili. Particolarmente grave è inoltre la carenza di infermieri.
Le risorse messe complessivamente a disposizione sono sempre meno adeguate rispetto ai bisogni di assistenza della popolazione; i livelli essenziali di assistenza (Lea) sono messi a rischio in molte regioni e l’autonomia differenziata attualmente in discussione in parlamento potrebbe ampliare ulteriormente il divario tra Nord e Sud d’Italia.
La salute deve ritornare a essere una priorità per governo e Regioni. Per questo è necessario mobilitarsi e scendere in piazza a Napoli il 25 maggio per la manifestazione della Via Maestra, per rivendicare non solo il diritto alla salute, ma anche la sua concreta realizzazione, a partire da un piano straordinario di finanziamento del Ssn e uno specifico programma di interventi per rimuovere gli squilibri territoriali, come previsto dall’articolo 119 della Costituzione.
Nerina Dirindin, Associazione Salute diritto fondamentale