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Il lavoro dell’Assemblea costituente produsse una Carta pluralista, fondata su valori fondamentali scritti innanzitutto nell’articolo 1 e poi nel 3. Un equilibrio delicato tra poteri incardinato, appunto, sul pluralismo, con al centro i diritti di cittadinanza.
Gaetano Silvestri si è laureato in diritto costituzionale in quella stessa Università di Messina dove, poi, lo ha insegnato. Presidente emerito della Corte Costituzionale, ha presieduto la Scuola superiore della magistratura e, fino al 2016, l’Associazione nazionale dei costituzionalisti. Per lui la Carta non va cambiata ma attuata, e le riforme targate Meloni-Calderoli pongono le condizioni per regimi autoritari e discriminatori.
Qualcuno sostiene che la Costituzione sia vecchia, che vada adeguata ai tempi. Condivide?
La necessità di adattamento ai tempi c'è per qualunque cosa, e il fatto che i tempi e i contesti sono fondamentali per qualunque atto istituzionale è altrettanto vero. Tuttavia, passando da un'affermazione generale al concreto, ritengo che la Costituzione italiana sia ancora attualissima, perché profila un regime di democrazia pluralista e di democrazia sociale che ancora deve essere attuato e quindi ha davanti a sé un futuro, secondo me, abbastanza lungo.
Cos'è la democrazia sociale?
È l'attuazione del principio di uguaglianza sostanziale che si legge nel secondo comma dell'articolo 3 della Carta, cioè la rimozione di quegli impedimenti di fatto che ostacolano la reale uguaglianza. Oggi siamo ancora lontani da questo obiettivo. Democrazia sociale significa diritto al lavoro, sicurezza sociale, diritto alla salute, diritto all'istruzione. È l’esigibilità di una serie di diritti cosiddetti, appunto, sociali, che fanno sì che le persone possano sviluppare la loro personalità in modo completo, senza che la loro condizione economica, o la loro posizione sociale, li limiti e impedisca l'esercizio effettivo di questi diritti.
I diritti che ha ricordato – lavoro, giusta retribuzione, salute e istruzione – in realtà sembrano siano stati disattesi.
In qualche modo sì. La Costituzione – ad esempio – vuole che la scuola sia aperta a tutti, che il diritto allo studio venga realizzato con interventi specifici e sostanziosi da parte dello Stato. Ebbene, oggi questo diritto allo studio non viene assicurato a tutti. Basti pensare che abbiamo la percentuale di diplomati e laureati in Italia più bassa che nel resto d'Europa. Vorrei ricordare che la Costituzione italiana dice che i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti dello studio e questo non è soltanto un problema sociale, ma diventa anche un problema politico, perché il grado di istruzione incide sul grado di consapevolezza del cittadino che poi va a votare. Per quanto riguarda il diritto alla salute, nei decenni scorsi qualche passo avanti si era fatto. Fu costituito il Sistema sanitario nazionale che effettivamente è stato un grande avanzamento. Tuttavia, ora questo cammino di attuazione dell’articolo 32 sembra essersi arrestato. Anzi, ci sono segnali di retrocessione, nel senso che si va sempre più verso la sanità privata.
Professore, l'articolo 1 della Costituzione recita: “L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro “. Quanto la realtà rispecchia questa affermazione?
È inattuato, basti pensare alla situazione dei giovani. Dal punto di vista della possibilità di lavoro la loro condizione è davvero drammatica. Complessivamente abbiamo una situazione nella quale il diritto al lavoro resta una vuota formula, non realizzata nella realtà sociale. Dignità e libertà vanno a braccetto. Non c'è vera libertà se non c'è dignità e non c'è dignità se non c'è vera libertà. Chi ha bisogno del lavoro, chi deve pietire una qualsiasi occupazione per poter sopravvivere perde la propria dignità, ma perde anche la propria libertà.
Questo riguarda anche l'entità del salario?
Certamente. I salari irrisori sono un'offesa alla dignità di chi lavora, sono una svalorizzazione del lavoro, perché l'articolo 36 dice che essi devono essere proporzionati alla quantità e alla qualità del lavoro, ma in ogni caso devono essere sufficienti ad assicurare a sé e alla propria famiglia un'esistenza libera e dignitosa. Ciò significa che qualunque sia il lavoro che una persona svolge, il salario non può scendere al di sotto dei limiti della dignità.
Sempre l'articolo 1 recita anche che “la sovranità appartiene al popolo che la esercita nei limiti della Costituzione”. Ci spiega il senso di questa affermazione?
Quella della Costituzione non è una democrazia populista. La nostra è una democrazia rappresentativa, nel senso che ci deve essere libertà, ci deve essere eguaglianza e il governo deve essere un governo democratico perché legittimato dal voto popolare. Il popolo in sé per sé non può essere onnipotente e i sacrosanti diritti delle minoranze valgono sempre, anche se la maggioranza li volesse abolire. Questa limitazione alle forme costituzionali è la migliore protezione per le minoranze, altrimenti la maggioranza del popolo potrebbe attentare ai diritti delle minoranze impunemente.
Lei sta descrivendo una Costituzione che definisce il sistema istituzionale italiano fondato su un equilibrio tra poteri e la partecipazione popolare. C'è chi sostiene però che questo assetto non funzioni più.
Chi sostiene che questo assetto non funziona più probabilmente non l'ha mai accettato. Penso che alcuni difetti, che indubbiamente ci sono e che sono dovuti a fattori di natura politica e sociale e non costituzionale, possano essere utilizzati come scusa per tornare indietro rispetto alle grandi conquiste dell'Assemblea costituente.
Uno dei problemi di maggiore evidenza in questi anni riguarda la partecipazione democratica dei cittadini, basti pensare all’astensionismo. Cosa si è indebolito nel rapporto tra cittadini e istituzioni?
Si è indebolito quell'anello di congiunzione essenziale, fondamentale, direi vitale, per la nostra democrazia che sono i partiti politici. Non a caso nella Costituzione c'è un intero articolo dedicato a loro. I partiti politici devono agire con metodo democratico, e questo significa che anche al loro interno devono essere democratici. Quelli italiani, nel tempo, hanno subìto una degenerazione piuttosto grave che li ha trasformati in pure macchine di potere e distribuzione di potere. Sono diventati sempre più oligarchici e quindi si è determinata una disaffezione crescente dei cittadini nei confronti della politica in generale.
Se il sistema istituzionale non funziona perfettamente, stabilità e governabilità sono la soluzione?
Stabilità e governabilità sono certamente importanti perché consentono di affermare la responsabilità di chi è stato eletto e di chi è stato messo al governo. Oggi prevale uno degli elementi fondamentali di quella che si potrebbe chiamare la democrazia populista, e cioè che nelle campagne elettorali si fanno grandi promesse che poi vengono sistematicamente tradite. E il cittadino, che magari si fida di queste promesse fatte da leader che aspirano tutti ad essere demagoghi e aspiranti mini dittatori, si sente poi deluso e questa delusione si accumula nel corso degli anni, dei decenni, fino a quando si trasforma in rifiuto della politica. Si ritiene che la politica sia una commedia che non vale la pena più di seguire.
Allora premierato e autonomia differenziata sono la soluzione, sono ciò che serve davvero?
Secondo me no, proprio perché accentuano questi difetti anziché limitarli. Questi problemi non verrebbero risolti dal fatto che c'è un presidente del Consiglio eletto direttamente dal popolo. Il problema è la frantumazione del corpo elettorale dovuto alla crisi grave, direi mortale, dei partiti politici per cui alla fine il presidente del Consiglio eletto avrebbe a che fare con un Parlamento che continuerebbe ad essere fortemente in preda a divisioni e conflitti. Ecco perché assieme all’elezione diretta del presidente del Consiglio è stata prevista quella formula davvero inaccettabile del 55% di premio di maggioranza, per cui parlo di governo figlio della calcolatrice più che della volontà degli elettori.
E l'autonomia differenziata?
L'autonomia differenziata, così come viene prospettata, serve semplicemente ad aumentare gli squilibri tra le varie parti del Paese. In Italia non c'è mai stata, e non c’è ancora, una unificazione sociale ed economica. Ancora oggi ci sono differenze notevoli fra Nord e Sud, fra una regione e l'altra. L'autonomia differenziata, come è stato detto, ridetto e stradetto, servirebbe a favorire ulteriormente quelli che stanno più avanti e sfavorire ulteriormente quelli che stanno più indietro.
E allora, a suo giudizio, da dove bisognerebbe ricostruire?
Bisognerebbe ricostruire innanzitutto la vitalità democratica interna dei partiti politici. Invece di discutere di riforme costituzionali, le forze politiche tutte si dovrebbero riunire attorno a un tavolo per fare finalmente una buona legge sui partiti politici, che garantisse la democrazia interna e quindi desse una forte motivazione ai cittadini e alle cittadine a partecipare alla vita interna di questi soggetti e rivitalizzasse i canali democratici tra popolo e istituzione. E poi occorrerebbe capire come fare per riequilibrare le spese dello Stato, in modo da dare di più alla sanità, all'istruzione. Democrazia pluralista, democrazia sociale, questi i due pilastri della Costituzione italiana. La democrazia pluralista langue e si indebolisce. La democrazia sociale va indietro, anziché andare avanti. È evidente che ci troviamo in una situazione in cui le grandi prospettive di valore che ci avevano indicato i costituenti vengono meno e si pongono le condizioni per regimi di tipo autoritario e discriminatorio.