PHOTO
Nel teatrino di un governo tutto chiacchiere e distintivo, il ddl sicurezza si presenta con la solennità di un atto di forza, ma dietro il sipario sfilacciato cela un copione ben noto: spaventare, dividere, reprimere. Annunciato come la risposta definitiva alle ansie dei cittadini, questo disegno di legge sembra piuttosto un esercizio di propaganda, un manifesto ideologico che riduce il disagio sociale a un problema di ordine pubblico.
Abolire la protezione speciale per i richiedenti asilo vulnerabili è il fiore all’occhiello di un provvedimento venduto come la cura miracolosa contro l’immigrazione irregolare. In realtà, non è altro che un’operazione cosmetica che ignora le cause profonde dei flussi migratori. Si elimina un diritto senza offrire alternative, consegnando migliaia di persone all’irregolarità e, di conseguenza, all’invisibilità. Questo non rafforza la sicurezza, la dissolve, creando una nuova classe di esclusi che vivrà ai margini della legalità. Ma poco importa, perché nel racconto governativo il migrante non è una persona, è un problema da risolvere, un “carico residuale” da rimpatriare.
E va nascosto, eliminato alla vista della nostra quotidianità grazie alle norme contro l’accattonaggio e l’estensione dei Daspo urbani. E così si puniscono i poveri, i senzatetto, i disperati, come se la loro semplice esistenza fosse un’offesa alla decenza. Il governo impone il “decoro”, ma decoro non significa nascondere il disagio sociale sotto il tappeto. Le città non diventano più sicure allontanando i poveri dalle piazze, diventano solo più ipocrite e disumane.
Ma la parte più inquietante dell’intero provvedimento è quella che punta dritto al cuore della democrazia: le restrizioni al diritto di manifestare. Si prevede un inasprimento delle pene per chi partecipa a proteste non autorizzate e nuove limitazioni per i cortei che potrebbero “disturbare l’ordine pubblico”. Non è difficile leggere in queste misure un messaggio chiaro: dissentire diventa reato. Chi scende in piazza rischia di essere bollato come un nemico dello Stato, un sabotatore dell’ordine costituito. È un colpo diretto a chi lotta per i diritti, che si tratti di studenti, lavoratori o ambientalisti.
La lista dei provvedimenti liberticidi contenuti in questo ddl non finisce mica qui. L’espansione della videosorveglianza è l’altro grande cavallo di battaglia del Grande Fratello d’Italia. Domanda: ma chi sorveglierà i sorveglianti? In un Paese dove il controllo sulla gestione dei dati personali è, nella migliore delle ipotesi, lacunoso, questa misura rischia di aprire la strada a un futuro orwelliano. Le telecamere non risolvono i problemi, li osservano. Intanto, la retorica del controllo totale gioca sulla paura, normalizzando l’idea che rinunciare a un po’ di libertà sia il prezzo da pagare per sentirsi più al sicuro.
In definitiva siamo al tentativo disperato di un governo che per distogliere l’attenzione dalle proprie incapacità sistemiche, punta il dito contro i più deboli. Lo schema è ben noto: si colpiscono i migranti, i poveri, i senzatetto, i lavoratori, gli studenti perché è facile. Non servono riforme complesse, non bisogna investire in inclusione o coesione sociale: basta un decreto, qualche manganello e una buona dose di propaganda per solleticare la pancia di un elettorato a cui si vendono paure invece che soluzioni.