La situazione più critica la sta vivendo la Sicilia. Ad Agrigento molti residenti non riescono a svolgere le normali abitudini di buona igiene, come fare la doccia, e le autobotti sfilano per distribuire acqua ai cittadini. A Palermo si va verso un’ulteriore minima riduzione della pressione dell’acqua per consentire un maggiore risparmio: per ora non ci saranno misure di razionamento.

Condizione difficile anche in altre città: a Trapani l’assenza di precipitazioni ha portato alle turnazioni per l’erogazione dell’acqua, mentre a Licata, nell’Agrigentino, la nave cisterna Ticino messa a disposizione dalla marina militare dovrebbe mitigare, almeno per ora, le conseguenze dell’emergenza idrica.

“Quella che stiamo vivendo in Sicilia è un’emergenza annunciata, provocata dalla riduzione delle piogge e dal cambiamento climatico, informazioni che già avevamo e che già sapevamo avrebbero inciso sul problema della siccità – spiega Gabriella Messina, segretaria regionale Cgil Sicilia –. Si partiva da una situazione di problemi strutturali con tratti emergenziali: il sistema idrico, dall’approvvigionamento alla distribuzione, ha forti carenze. Agli effetti del cambiamento climatico dobbiamo aggiungere anni di mancati interventi strutturali sugli invasi e sulle reti idriche, fra dighe incomplete e strutture così fatiscenti e indecorose da essere definire reti idriche colabrodo”.

Nel 2022 nell’isola si registrava una dispersione pari al 51,6 per cento, per un volume di 339,7 milioni di metri cubi di acqua sprecata (fonte Istat), con punte in alcuni territori che superano il 60 per cento. Quindi, l’assenza di piani efficaci per la messa in sicurezza degli approvvigionamenti per le aree più a rischio siccità.

Mentre un recente studio dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia e delle università di Malta e Roma Tre ha trovato un enorme bacino di acqua custodito da sei milioni di anni nelle viscere dei monti Iblei, la Sicilia non riesce a gestire i 29 invasi artificiali monitorati dall’Arpa per usi irrigui, civile o per produzione di energia elettrica: mancando il collaudo e il completamento dei lavori per metterli in sicurezza, vengono sfruttati con una capacità inferiore a quella prevista.

E ancora: dei circa 5 milioni di abitanti residenti, solo il 61 per cento è servito da un impianto di depurazione, nei Comuni capoluogo di provincia la percentuale sale al 71,5. Il 75 per cento degli impianti siciliani scarica in torrenti e fiumi, il restante 25 in mare.

Dei 463 impianti di trattamento delle acque reflue urbane, il 17 per cento risulta non attivo, mentre dei 388 attivi solo il 17,5 circa opera con autorizzazione allo scarico in corso di validità. Tutti gli altri non hanno autorizzazione o ne hanno una scaduta o sono stati destinatari di decreti di diniego allo scarico. Ci sono poi alcuni casi di impianti in stato di fermo o in situazione di particolare degrado, dovuta allo stato di abbandono dell’edificio.

“La gestione dell’intero sistema idrico in Sicilia appare complessa e frammentata – prosegue Messina –, dai consorzi di bonifica che hanno visto l’evolversi in riforme inadeguate alla frammentazione dei gestori del servizio idrico integrato con la presenza di un livello di sovrambito”.

No solo: “È ancora forte l’eco dei 31 su 32 progetti di miglioramento del sistema irriguo finanziati nell’ambito del Pnrr per i consorzi di bonifica presentati dalla Regione e bocciati. Sono necessari una strategia che da una parte affronti l’emergenza e dall’altra ne elimini il carattere strutturale, un nuovo piano idrico per la Regione e un piano degli interventi emergenziali. Se da una parte la cabina di regia pensa a nuove perforazioni di pozzi, occorre immediatamente individuare una governance unica e dall’altra occorre un piano valido territorio per territorio”.

Il rischio è che i siciliani oltre a restare a secco e a pagare oggi, pagheranno anche domani i mancati interventi. “E che la montagna di risorse che arriverà non potrà essere gestita dal pubblico per ridotta capacità progettuale – conclude l’esponente sindacale – e andrà a incrementare la frammentazione delle gestioni private con una sola e unica conseguenza: un’acqua più salata per cittadini, agricoltori e allevatori perché a più acqua corrisponderà una più alta tariffa”.