La sua storia di imprenditore etico è finita anche sul Financial Times. Perché Matteo Ascheri ha denunciato senza troppi giri di parole i fenomeni di caporalato e sfruttamento che interessano vigneti fra i più celebri del mondo, quelli piemontesi dove si producono Barolo e Barbaresco, vini che non hanno bisogno di presentazioni.

Agricoltura ricca

“La nostra è un’agricoltura ricca, abbiamo la forza di poter lavorare in modo legale, nel rispetto dei diritti e delle tutele di chi ci aiuta a produrre i nostri vini”. Parole che non arrivano da un operaio agricolo o da un delegato sindacale Flai Cgil, ma da quello che in altri tempi veniva chiamato padrone. Palese il cortocircuito fra bottiglie che costano minimo 30 euro, ma che vengono mediamente vendute con numeri a tre cifre, e le condizioni di lavoro di chi per un pugno di euro viene impiegato nella cura dei vigneti e nella vendemmia. Sono i panni sporchi, quelli che non si vogliono vedere e che vengono messi in un cesto di vimini nel ripostiglio.

Fare finta di niente

“Non potrei andare a dormire la sera sapendo che nella mia tenuta agricola lavoratrici e lavoratori vengono sfruttati come schiavi - spiega Matteo Ascheri che dal 2018 al 2024 è stato presidente del consorzio di tutela Barolo, Barbaresco, Alba, Langhe e Dogliani -. Non si può far finta che vada tutto bene, che caporalato e sfruttamento non esistano. Basta frequentare certe piazze dei piccoli paesi all’alba, nei periodi della raccolta, per assistere ai movimenti di pulmini carichi di lavoratori verso le vigne, gli stessi mezzi che poi ritrovi sulle strade di campagna a sera”.

Matteo Ascheri

La denuncia

L’altro volto, quello brutto, del made in Italy. “In Italia è dovuto andare giù il ponte Morandi di Genova perché si ammettesse che esiste un problema di manutenzione della rete autostradale - osserva amareggiato l’ex presidente -. Eppure si sapeva benissimo. Da imprenditore e da presidente del consorzio ho sentito il dovere di denunciare lo sfruttamento nei nostri vigneti. E sono rimasto solo, isolato da chi prima negava il fenomeno e poi, alla luce delle inchieste della magistratura, lo minimizzava parlando di poche mele marce. Non è così, sono i numeri a dire il contrario”.

Basta protocolli

Le Langhe piemontesi sono un importante centro di viticoltura e vinificazione, con produzioni doc e docg come Barolo, Nebbiolo, Barbaresco, Dogliani, Dolcetto d’Alba, Barbera d’Alba, Pelaverga di Verduno. “Non parliamo di pomodori, ma di un’agricoltura ricca, con un enorme valore aggiunto e un sistema fiscale molto favorevole. Come imprenditore non posso che vergognarmi di quello che accade nei nostri campi. Invece si nega la realtà, e quando non si riesce a farlo si risponde con dichiarazioni di intenti puntualmente disattese. Protocolli contro il caporalato, vademecum contro lo sfruttamento: tutta carta”.

Ci vogliono i fatti 

Una realtà a cui Ascheri ha detto no: “Per me è una questione di ordine etico - sostiene -: dobbiamo capire come vogliamo vivere il nostro pianeta, camminare fra i nostri vigneti, quale rapporto vogliamo avere con gli altri esseri umani. L’impresa ha anche una responsabilità sociale, esiste un problema di immagine. Chi si comporta male nascondendosi dietro un marchio collettivo getta discredito su tutta la comunità”.

Cinquemila lavoratori

Deve essere di origine controllata anche il lavoro. “Ci siamo confrontati con Confcooperative - puntualizza -, partendo dal fatto che dei circa 5 mila lavoratori impegnati in agricoltura nelle Langhe, più o meno la metà sono alle dipendenze dirette delle aziende. Dovrebbe essere la parte più tutelata, anche se le ombre nel nostro settore non mancano mai. Gli altri 2.500 sono intermediati da un sistema di cooperative. Insomma, l’intermediazione del lavoro è diventata strutturale, rappresenta il 50 per cento dell’offerta. Di questo 50 per cento, circa un migliaio si affida a imprese associate a Confcooperative. Ma ne rimangono altri 1.500 in mano a piccolissime realtà difficili da controllare, che nascono e muoiono in poco tempo. Sono le lavoratrici e i lavoratori più a rischio”.

Solo dipendenti diretti

Ascheri ha risolto il problema alla base, ha solo dipendenti diretti. “L’assunzione è l’unico modello di integrazione possibile - dice -, senza contratto a tempo indeterminato i lavoratori non possono chiedere prestiti in banca, o affittarsi una casa. E certo non sono aiutati da leggi come la Bossi-Fini o dal decreto flussi. Visto che l’intermediazione del lavoro è diventa strutturale bisognerebbe intervenire su quel versante. Dovremmo creare noi cooperative che garantiscano la legalità per il lavoratore, intercettando le persone che vivono sul territorio e togliendole dalle mani degli sfruttatori. Con l’aiuto di tutti, a partire dalla Flai Cgil”.

Progetto Common Ground

Una Flai che in Piemonte, insieme alla Cgil e ad altre associazioni, ha aderito al Common Ground, un progetto per prevenire e contrastare le forme di distorsione del mercato del lavoro con interventi di protezione sociale. Nelle Langhe le aziende possono farsi aiutare dal centro per l’impiego, bypassando l’intermediazione privata. In buona sostanza si è creato uno sportello per il lavoro non sfruttato, cui le imprese in cerca di lavoratori possono rivolgersi.

L’azienda deve garantire diritti

“I politici si vantano del made in Italy ma poi mettono la testa sotto la sabbia, sono sepolcri imbiancati - denuncia Ascheri -. Io ho provato a parlare di sfruttamento e caporalato, mi hanno condannato alla damnatio memoriae. L’attuale presidente del consorzio dice che le aziende sono anch’esse vittime del caporalato. Non sono d’accordo, un’azienda non può essere vittima, anzi in tanti casi è il mandante. Non è forse l’azienda che offre il lavoro? E chi offre il lavoro deve anche garantire diritti e tutele. Non è forse l’azienda che avrà i ricavi economici? Non può fare finta di niente, e dire ‘io pago la cooperativa e non so cosa succede’”.

L’imprenditore conclude: “Il valore aggiunto nei vigneti delle Langhe è esagerato, e c’è una fiscalità agricola non progressiva che agevola i più ricchi. Non ci dimentichiamo che l’agricoltura in Italia rappresenta cinque milioni di voti”.