Un lavoro, una casa, una famiglia. Desideri normali, comuni a tanti di noi, quasi tutti. Ma che spesso, sempre più spesso diventano sogni difficili da realizzare, miraggi lontani da raggiungere. Come è successo a Sofia (il nome è di fantasia), che quando è diventata mamma è stata licenziata due volte in meno di tre anni. La prima volta due mesi dopo la nascita del primogenito e in piena maternità obbligatoria; la seconda a pochi mesi dalla nascita del secondo figlio. Due agenzie e due imprese diverse, che le hanno riservato lo stesso identico trattamento.

Meno precaria ma precaria

Come è stato possibile? Sofia è una lavoratrice somministrata, certo la meno precaria tra le mille sfumature del precariato, ma comunque licenziabile mentre era in maternità, come dimostra appunto la sua odissea.

Siamo nella provincia di Verona. L’azienda, all’inizio di questa storia, opera nel settore farmaceutico e la nostra lavoratrice è un tecnico di laboratorio. “Dopo due anni di contratti a termine avrebbero dovuto assumermi, ma non l’hanno fatto – racconta Sofia -. Poiché avevano comunque bisogno della mia mansione, hanno deciso di proseguire il rapporto, ma attraverso un’agenzia per il lavoro e con un contratto di staff leasing. Da agosto 2020 ero a tempo indeterminato con l’agenzia e a tempo indeterminato con l’azienda”.

Doccia fredda

Tutto bene quindi? Decisamente no. Mentre era ancora in maternità obbligatoria, sebbene avesse dato la disponibilità a tornare al lavoro appena possibile, arriva la doccia fredda: “Mi chiama l’agenzia e mi dice che l’impresa ha deciso di terminare la missione, anche se ero a tempo indeterminato. In pratica, mi licenziano. Per legge non potevano lasciarmi a casa fino a che mio figlio non avesse compiuto un anno ma dopo cinque mesi il mio stipendio si è più che dimezzato, da 1.800 a 800 euro, perché sono tornata in disponibilità all’agenzia che, da contratto collettivo nazionale, è tenuta a corrispondere questa indennità”.

Il tempo passa e a Sofia non arriva nessuna proposta né le viene chiesto di frequentare corsi di aggiornamento, come prevede invece il contratto. Con Nidil Cgil si oppone al licenziamento in sede giudiziale, ma alla fine del periodo previsto dalla legge, rimane a casa.

Nuova agenzia, nuova azienda

Sofia prova a buttarsi tutto alle spalle: cambia agenzia, azienda e mansione. Trova un nuovo impiego, sempre in somministrazione, presso un’altra grande azienda del territorio del settore alimentare, per la quale aveva già lavorato in passato.

Anche qui, malgrado le promesse di stabilizzazione, ricomincia lo stillicidio di contratti a termine, rinnovati questa volta di mese in mese, fino al raggiungimento del limite massimo legale dei rinnovi che sostanzialmente coincide con la scoperta della seconda gravidanza. Quando l’azienda dice che non l’assumerà, Sofia viene messa in stand-by anche dalla nuova agenzia che, senza proporle nessuna iniziativa di formazione, apre la procedura che porterà al licenziamento.

Il lato positivo

“Mi trovo in un limbo, e anche stavolta l’agenzia sta aspettando il compimento dell’anno della bimba per salutarmi – conclude Sofia -. Ti fanno credere che se hai un contratto di somministrazione dopo due anni ti assumono, che hai una prospettiva di stabilità, ma non è così. Il lato positivo di questa storia? I miei figli, ho loro che sono tutto per me. Ma possibile che ancora oggi se sei una donna a un certo punto della vita devi scegliere se andare avanti con il lavoro o avere figli?”.