Puntata n. 2/2024 – Nel Lazio un operaio guadagna mediamente il 65% in più di un’operaia
Se il lavoro è povero, il lavoro delle donne è poverissimo
Nel Lazio oltre un milione di lavoratori ha un reddito annuo inferiore ai 25mila euro. Lo svela un’indagine della Cgil capitolina condotta su dati INPS. Altissime le disparità di genere che vedono gli operai guadagnare mediamente il 65% in più delle colleghe; gli impiegati il 39%; i quadri il 13%; i dirigenti il 35%. In un Paese in cui i salari sono troppo bassi, i salari delle donne sono ancora più bassi.
E allora alzate i salari
In questo momento resta la madre di tutte le battaglie di chiunque abbia a cuore i destini di questo Paese. Non solo per restituire potere d’acquisto a un popolo di lavoratori e pensionati che ne ha lasciato per strada circa il 17% negli ultimi due anni, ma anche per riattivare i consumi. Un Paese che non guadagna più, non spende più, non ha più mercato e finirà per non produrre più. Una spirale che è facile intuire dove può portare. Una battaglia che si combatte su tre fronti, ha detto Maurizio Landini: rinnovo dei contratti per 12 milioni di lavoratori; una vera riforma fiscale che attraverso il recupero dell’evasione redistribuisca; una lotta senza quartiere alla precarietà in tutte le sue forme.
Un passo avanti e due indietro
Nel Paese reale a seguire le notizie sembra di essere sull’altalena. In settimana all’Interporto di Bologna i sindacati hanno firmato con Geodis Italia un accordo per la genitorialità tra i più avanzati d’Italia. Tanto per dirne una, l’intesa riconosce il diritto a favore del turno centrale per il genitore che ne facesse richiesta per i primi tre anni dalla nascita del figlio. Non si fa in tempo a sorridere per una buona notizia che si apprende della denuncia delle condizioni di lavoro degli addetti alla vigilanza all’aeroporto bergamasco di Orio al Serio: “nostri iscritti - fa sapere il sindacato - ci riferiscono di turni di oltre 11 ore di media al giorno, cioè ben più di 60 ore settimanali, per croniche carenze di personale. C’è chi comincia la propria giornata lavorativa alle 11 del mattino e la finisce alle 21, senza pausa pranzo garantita, ma solo un’interruzione di 15 minuti. A fronte di compensi che, per i neoassunti, sono di 6,4 euro lordi orari”.
Acciaio, automobili, raffinazione…la grande industria ci abbandona?
Qualcosa dovrebbero dircelo le storie di Ilva, Stellantis e Saras. Una piccola traccia, una preoccupazione almeno strisciante dalle parti di Palazzo Chigi si dovrebbe percepire. Eppure da vent’anni manca una politica industriale e il Paese di fronte al rischio di perdere decine di migliaia di posti di lavoro non reagisce, è apatico. I giovani se ne vanno, la grande industria forse pure…se continua così dovremmo chiederci se esiste ancora un presente. Altro che futuro.
Che gran censura...
Un artista vuole mandare un messaggio di pace? In Rai gli tolgono il microfono. Uno studente vuole protestare? Lo prendono a manganellate. La strage in corso in Palestina ha fatto oltre 28mila morti e 70mila feriti. Tra le vittime donne, tantissimi bambini, medici, giornalisti, personale ONU. Ma non si può dire…shhh…Il sassolino del direttore di Collettiva, Stefano Milani
Che Paese infimo siamo diventati se per provare a denunciare un genocidio in atto dobbiamo sfoderare l’arma nazional-popolare della par condicio. Con una mano a soppesare l’orrore. E con l’altra a sbianchettare la verità. A Gaza i morti non si contano più, ma la nota di Ghali viene stonata dal colletto bianco Rai di turno travestito da santo inquisitore. Pronto a controbilanciare la storia, con l’asterisco in alto a destra, perché anche Israele porta le sue pene. Che orrore le manette alla povera Salis, anche se il suo comportamento non è proprio da maestrina modello. Che strazio quei corpi galleggianti nel Mediterraneo, anche se quando arrivano sani e salvi fanno i padroni a casa nostra. Il benaltrismo de noantri come arma di distrazione di massa. Come espediente per instillare il dubbio, aizzare il pregiudizio, manganellare la realtà. Se l’Italia è dietro alla Namibia e al Costarica per la libertà di stampa, un motivo ci sarà.
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