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L'emergenza, certamente, ma non solo. Perché la pandemia ha reso più evidenti e fatto esplodere deficit antichi del nostro sistema di istruzione, sicché oggi occorre intervenire anche su questi mali antichi e avere un’idea complessiva del ruolo della formazione nel nostro paese. Gianna Fracassi, vice segretaria generale della Cgil, interviene su Collettiva nel mezzo di una situazione davvero difficile e che però non giustifica la confusione in cui siamo precipitati, con il balletto di date e responsabilità tra i vari attori istituzionali. “La confusione, a dire il vero, c’è stata sin da settembre – osserva – quando già alcune Regioni avevano autonomamente posticipato la data del rientro in presenza a scuola. È chiaro che occorre ricomporre un quadro omogeneo ed equilibrato del sistema.
Un po’ quello che si è tentato con i tavoli prefettizi provinciali...
Purtroppo un tentativo che non ha funzionato, come è evidente da quello che abbiamo sotto agli occhi. Senza tralasciare che tranne alcune rare eccezioni – e nonostante una lettera unitaria dei sindacati indirizzata ai ministri competenti – i sindacati non sono stati coinvolti.
Mi pare di capire che in questa situazione anche il balletto sulle date per il rientro in presenza abbia poco senso...
La situazione è difficile e complessa, l’andamento della pandemia non è prevedibile, tuttavia riteniamo che occorra fare di tutto per coniugare il diritto all'istruzione e alla sicurezza per tutta la comunità scolastica. In questo senso, però, troppe cose ancora mancano.
Cosa occorre fare per i sindacati?
La prima questione importante è l’istituzione di una corsia preferenziale per tamponi e tracciabilità che coinvolga personale e studenti. Poi chiediamo che nella campagna vaccinale i lavoratori della scuola siano collocati ai primi posti. C’è, inoltre, il nodo chiave dei trasporti che riguarda in particolare le grandi aree urbane. In questo caso è stato fatto veramente poco. Nella legge di bilancio ci sono delle risorse, ma ovviamente i risultati si potranno vedere solo più avanti: è evidente dunque che si doveva intervenire prima, già da questa estate. Infine, ma non da ultimo, occorre una revisione complessiva dell’organizzazione scolastica, ma per fare questo serve più personale per garantire ampliamento dell’orario e riduzione del numero degli alunni per classe. Sempre nella legge di bilancio ci sono risorse per sostituzioni in caso di assenze per covid, ma il tema è più ampio.
In effetti è qui che i problemi legati all’emergenza si incrociano con i mali atavici della nostra scuola, a cominciare dalle classi pollaio...
È così. Dal 2008 interventi pesantissimi hanno aumentato in maniera intollerabile il numero di alunni per classe, generando un peggioramento della qualità della scuola. Anche rispetto all’edilizia scolastica siamo molto indietro: le classi sono da tempo spesso inadatte a ospitare adeguatamente i ragazzi, figuriamoci ora in una situazione di emergenza sanitaria che richiede più spazio per il distanziamento. Insomma: la pandemia ha accelerato e messo in evidenza tutto quello che non si è fatto negli ultimi 15 anni. Poi vorrei segnalare un altro tema molto importante: bisogna rendersi conto di quanto in questi mesi di dad gli studenti hanno perso, sia per i casi in cui la didattica a distanza in alcuni contesti territoriali e sociali è stata inaccessibile, sia per il fatto che anche nei casi migliori non può essa non può mai sostituire del tutto la scuola in presenza. Insomma: c’è un tema di “restituzione” di cui tutti gli attori responsabili devono farsi carico. Altrimenti rischiamo di ritrovarci con un’intera generazione deprivata sia rispetto ai processi di inclusione sia rispetto al livello degli apprendimenti.
Tra gli aspetti più problematici e annosi della nostra scuola c’è quello del precariato…
Non c’è dubbio: questa fabbrica di precarietà va chiusa. Vanno quindi cambiati i modelli di reclutamento e la definizione degli organici, con l’assurda distinzione tra organico di fatto e organico di diritto.
In questo senso occorre lavorare non solo sull’emergenza ma anche sulla prospettiva, non trovi?
Assolutamente sì. A cominciare dall’utilizzo delle risorse del Recovery Plan che sarà uno dei temi chiave del prossimo dibattito pubblico. Chiediamo con forza che una parte di quelle risorse
sia utilizzata per qualificare il sistema dell'istruzione e della formazione. Se poi guardiamo alla prospettiva non vanno dimenticate le grandi riforme di cui la scuola ha bisogno: l'obbligatorietà da 3 a 18 anni e il rafforzamento del segmento 0-3 che va almeno raddoppiato rispetto ai livelli attuali. In sostanza noi dobbiamo innalzare i livelli di istruzione lungo tutto l’arco della vita delle persone. Non dimentichiamo che l’Italia ha almeno due tristi primati: quello dei neet e dell’analfabetismo di ritorno tra gli adulti.
Tutte queste cose si finanziano con i soldi europei?
Bisogna specificare. Le risorse comunitarie, come è noto, non possono essere utilizzate per la spesa corrente. Tuttavia si possono mettere in campo interventi coerenti con questa prospettiva e che possono essere sostenuti anche in altro modo. Non dimentichiamo che oltre ai 209 miliardi del Recovery Plan c’è sempre il bilancio dello Stato. Sembra che qualcuno se lo dimentichi.
Insomma: agire in coerenza con un’idea, spesso più volte ribadita a parole, che la formazione sia al cuore di una grande idea di paese...
Sì. Istruzione e formazione sono fondamentali non solo per affrontare le sfide della cittadinanza democratica, ma anche per tutte le partite legate allo sviluppo e al lavoro. In un mercato del lavoro che con la digitalizzazione e la green economy cambia radicalmente modelli produttivi, organizzativi e obiettivi, le competenze – e dunque la formazione – saranno sempre più centrali e dovrà quindi essere reso esigibile il diritto all'apprendimento lungo tutto l'arco della vita.