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Presidente della Camera dei deputati per due legislature successive, Sandro Pertini è il settimo presidente della Repubblica italiana - primo socialista a ricoprire la carica - eletto due mesi dopo la morte di Aldo Moro al sedicesimo scrutinio con 832 voti su 995. È il presidente con la pipa che per primo esce dal protocollo e che gioca a scopone con Zoff contro il duo Causio - Bearzot, sull’aereo presidenziale di ritorno dal Mondiale vinto in Spagna nel 1982 che lo ha visto esultare in tribuna.
Il presidente del terremoto dell’Irpinia, della tragedia di Vermicino e della strage di Bologna, l’amico che in silenzio saluta la bara di Enrico Berlinguer che farà trasportare sull’aereo presidenziale dichiarando: “Lo porto via come un amico fraterno, come un figlio, come un compagno di lotta”. Nel 1933 Sandro Pertini viene condannato dal Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato prima alla reclusione e successivamente al confino.
Detenuto nel carcere di Pianosa rigetterà con durezza l’appello della madre al Tribunale Speciale per ottenere la grazia:
Mamma, con quale animo hai potuto fare questo? Non ho più pace da quando mi hanno comunicato, che tu hai presentato domanda di grazia per me. Se tu potessi immaginare tutto il male che mi hai fatto ti pentiresti amaramente di aver scritto una simile domanda. Debbo frenare lo sdegno del mio animo, perché sei mia madre e questo non debba mai dimenticarlo. Dimmi mamma, perché hai voluto offendere la mia fede? Lo sai bene, che è tutto per me, questa mia fede, che ho sempre amato tanto. Tutto me stesso ho offerto ad essa e per essa con anima lieto ho accettato la condanna e serenamente ho sempre sopportate la prigione. È l’unica cosa di veramente grande e puro, che io porti in me e tu, proprio tu, hai voluto offenderla così? Perché mamma, perché? Qui nella mia cella di nascosto, ho pianto lacrime di amarezza e di vergogna - quale smarrimento ti ha sorpreso, perché tu abbia potuto compiere un simile atto di debolezza? Mi sento umiliato al pensiero che tu, sia pure per un solo istante, abbia potuto supporre che io potessi abiurare la mia fede politica pur di riacquistare la libertà. Tu che mi hai sempre compreso, che tanto andavi orgogliosa di me, hai potuto pensare questo? Ma, dunque, ti sei improvvisamente cosi allontanata da me, da non intendere più l’amore, che io sento per la mia idea? Come si può pensare, che io, pur di tornare libero, sarei pronto a rinnegare la mia fede? E privo della mia fede, cosa può importarmene della libertà? La libertà, questo bene prezioso tanto caro agli uomini, diventa un sudicio straccio da gettar via, acquistato al prezzo di questo tradimento, che si è osato proporre a me (…) È bene che tu conosca la dichiarazione da me scritta all’invito se mi associavo alla domanda da te presentata. Eccola: “La comunicazione, che mia madre ha presentato domanda di grazia in mio favore, mi umilia profondamente. Non mi associo, quindi, ad una simile domanda, perché sento che macchierei la mia fede politica, che più d’ogni altra cosa, della mia stessa vita, mi preme (…).
Nel corso dei decenni questa lettera, così dura ma allo stesso modo coerente, è diventata un simbolo. C’è in essa tutto Sandro Pertini: l’antifascista, il partigiano, il Pertini del luglio ’60, dei funerali di Guido Rossa, il Pertini nemico di ogni forma di terrorismo e strenuo difensore della Costituzione e della democrazia.
Il presidente di tutti, ma soprattutto dei giovani ai quali diceva nel novembre 1978: “Io credo in voi giovani. Se non credessi in voi dovrei disperare dell’avvenire della Patria, perché non siamo più noi che rappresentiamo l’avvenire della Patria, siete voi giovani che con la vostra libertà, con il vostro entusiasmo lo rappresentate. Non badate ai miei capelli bianchi, ascoltate il mio animo che è giovane come il vostro. Voi non avete bisogno di prediche, voi avete bisogno di esempi, esempi di onestà, di coerenza e di altruismo”.
Esempi, appunto, come lui. “A sospingerci avanti - diceva - sono i nostri morti non ancora placati. E non saranno placati finché nella loro Patria, per il cui bene caddero, vi sarà un bimbo morente di fame, una madre senza tetto e senza pane, un vecchio abbandonato alla miseria, dopo anni di onesto lavoro, un uomo sfruttato da un altro uomo; finché l’incubo della guerra sovrasterà sull’umanità. Perché, dunque, placati alfine riposino i nostri morti, noi continuiamo con la fede e la fermezza di allora la lotta sino al raggiungimento della meta immancabile: l’Italia del popolo lavoratore”.
Ieri, oggi, sempre.