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Siamo le donne che hanno lottato per il nuovo diritto di famiglia, per il divorzio e la legge 194.
Siamo le donne che hanno definito lo stupro reato contro la persona e non contro la morale, lottando per cancellare le norme ereditate dal codice fascista Rocco insieme al delitto d’onore, al matrimonio riparatore, allo ius corrigendi del marito, titolare di ogni potere su moglie e figli.
Siamo le donne che da sempre si battono contro la violenza maschile fuori e dentro la famiglia.
Siamo le donne dei Centri antiviolenza femministi.
Siamo le donne che hanno lottato per il diritto al lavoro, per il valore e il rispetto del lavoro, per la centralità e il valore sociale della maternità, per i congedi di maternità e paternità, per un welfare solidale e non basato su nonne e nonni.
Siamo le donne che si prendono cura delle persone, delle comunità, dei territori.
Siamo coloro che tengono davvero al centro il benessere e la serenità di bambine e bambini perché è grazie a noi che bambini e bambine sono diventati soggetti di diritto.
Siamo le famiglie in tutte le possibili declinazioni.
Siamo le donne e gli uomini giovani, che vorrebbero lavorare e non emigrare, che rivendicano il diritto di poter decidere se, dove, come e quando costruirsi una famiglia.
Siamo le donne e gli uomini che danno vita giorno per giorno una società accogliente inclusiva aperta e giusta con donne e uomini migranti.
Siamo donne e uomini scesi in piazza come e con soggettività transfemministe e lgbtq+ per una società di piena cittadinanza umana.
Siamo i padri e gli uomini responsabili e civili che non si riconoscono nella strategia e nella retorica vendicativa della lobby dei padri separati.
Siamo coloro che rifiutano la menzogna dell’alienazione parentale, in accordo con tutta la comunità scientifica internazionale e siamo contro chiunque manipoli bambini e bambine per il proprio tornaconto personale o professionale.
Siamo qui ancora una volta per ribadire:
Non si torna indietro sui diritti e la libertà di scelta. Non si usano bambini e bambine contro i genitori!
Nessun testo unificato su separazione, mediazione obbligatoria bigenitorialità, mantenimento diretto.
Così il 28 settembre dello scorso anno movimenti femministi, associazioni di donne, centri antiviolenza, collettivi ed organizzazioni si e ci chiamavano alla mobilitazione contro la contrastatissima politica di Simone Pillon, organizzatore del Family day, portavoce delle principali battaglie dell’integralismo cattolico e il promotore del gruppo parlamentare Vita famiglia e libertà.
Il “contratto del governo” tra Lega e Movimento 5 Stelle, prevedeva, tra le altre cose, una riforma del diritto di famiglia. Per questo motivo nell’agosto 2018 è stato presentato un progetto di legge, il numero 735, meglio noto come Decreto Pillon dal nome del senatore primo firmatario. Un decreto da molti definito folle, ferocemente criticato sia all’interno del Parlamento sia esternamente da giuristi, psicologi ed altri esperti in diritto di famiglia. Un decreto - per fortuna - mai varato, contro il quale si è trasversalmente schierata buona parte del Paese. “Se mi hanno lasciato nel cassetto una copia del ddl Pillon? Non mi sono informata, ma per quanto mi riguarda resterà nel cassetto”, affermava lo scorso anno la ministra per le Pari opportunità e la famiglia Elena Bonetti archiviando il provvedimento sull’affido condiviso.
“Se guardo al nostro paese - scriveva sempre lo scorso anno la responsabile delle politiche di genere della Cgil nazionale, Susanna Camusso - vedo, sento un’ondata oscurantista nei confronti delle donne. Una voglia autoritaria e machista di proporre modelli, comportamenti, scelte funzionali al ritorno al silenzio, alla sottomissione, alla negazione di libertà. Un’idea che la libertà femminile (come quella sessuale, quella di migrare, più in generale quella degli stili di vita, del valore e ricchezza delle diversità) sia una colpa da reprimere. Piccoli e grandi “ fatti” indicano questa politica: dal lavorare fino al giorno del parto al ddl Pillon, ma soprattutto lo dimostra il linguaggio violento e discriminatorio usato costantemente”. Purtroppo a distanza di un anno veramente poco sempre essere cambiato.
La scorsa settimana, in meno di 48 ore la Corte d’Appello di Milano ha abbassato la pena di uno stupratore (colpevole di stupro, sequestro di persona e percosse) perché in un "contesto familiare degradato" e "caratterizzato da anomalie quali le relazioni della donna con altri uomini", l’intensità del dolo di quei tre reati è stata stata attenuata dal fatto che l’uomo "mite" fosse stato "esasperato dalla condotta troppo disinvolta della donna", condotta "che aveva passivamente subìto sino a quel momento"; una dirigente del liceo Socrate di Roma ha chiesto alle sue studentesse di non indossare le minigonne senza banchi perché "a qualche professore potrebbe cadere l’occhio"; un concorrente della nuova edizione di Temptation Island (3 milioni di telespettatori in prima serata su Canale 5!!!) ha affermato parlando della propria compagna: “Fortunatamente, o sfortunatamente, ho controllo sulla mente di Serena e quindi tiro quello che voglio dalla sua bocca. Spesso quando discutiamo io l’annullo, non la ritengo degna, le dico lascia stare”. “Le ho vietato la palestra - ha aggiunto - Non le consento di uscire con le amiche, di utilizzare i social, di fare qualsiasi cosa senza di me. Lei è mia...”.
Nel frattempo a Milano un locale utilizzava per la sua pubblicità un gioco tanto simpatico da sbellicarsi dalle risate: se lanci il reggiseno dietro il banco - o donna - vinci quattro chupiti. Se porti a casa il barista chupiti per un mese. Se mostri il seno tanti chupiti però in proporzione alla taglia: se hai la prima un chupito. Se hai la seconda due chupiti... E così via fino ad arrivare ai cinque drink offerti alla fortunata dalla taglia quinta con tanto di applauso collettivo. Se è vero che la libertà delle donne è il metro di misura della democrazia di un paese stiamo messi male davvero!