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“È una legge che fa saltare l’architettura dello Stato basata sulla Costituzione e sui principi di solidarietà e sussidiarietà, rende più ampie le disuguaglianze nel nostro Paese, in particolare quelle tra Nord e Sud, esalta la competizione tra le Regioni: quelle che hanno un maggior margine di bilancio saranno in grado di offrire servizi migliori, le altre dovranno ridurre ancora di più le prestazioni”.
È una valutazione completamente negativa quella che dà Marco Falcinelli, segretario generale Filctem Cgil, all’autonomia differenziata, all’indomani della promulgazione della disciplina di riforma della Costituzione da parte del Presidente della Repubblica. “E questo ragionamento ci porta al settore nel quale l’impatto sarà più drammatico, quello della sanità”.
Da quale punto di vista secondo lei?
Già con la riforma del Titolo V della Costituzione, che ha modificato l'assetto del governo territoriale e sovvertito i tradizionali rapporti tra Stato centrale ed enti periferici, al posto di un unico servizio sanitario nazionale abbiamo assistito alla creazione di 21 servizi sanitari. Quello che si rischia adesso è una ulteriore riduzione dei servizi essenziali, del numero e della qualità delle prestazioni, con tempi di attesa che già oggi hanno raggiunto livelli insostenibili. Essendo connessi a diritti civili e sociali, dovrebbero essere garantiti allo stesso modo su tutto il territorio nazionale, ma le differenze tra le Regioni più ricche e quelle più povere saranno più evidenti e accentuate, e il turismo sanitario aumenterà.
Il prezzo più alto lo pagheranno quindi i cittadini. Ma cosa potrà accadere sul fronte del lavoro e dell’occupazione?
Rimanendo nell’ambito della sanità, sul settore farmaceutico, che impiega 80 mila addetti diretti più 240 mila dell’indotto, l’impatto dell’autonomia differenziata sarà notevole perché accentuerà il carattere autonomo delle Regioni nell’individuazione e fissazione dei tetti di spesa. Ci saranno quindi ulteriori tagli, oltre a quelli già decisi a livello nazionale, dettati dalla riduzione delle risorse. Questo avrà ricadute importanti sui cittadini ma anche sul sistema industriale, che è strettamente legato alle politiche sanitarie. Tutta l’industria del Paese subirà dei contraccolpi in relazione alle decisioni delle singole Regioni.
In quali ambiti?
Per esempio, quello delle autorizzazioni per l’insediamento degli impianti delle rinnovabili. Già oggi che immaginiamo un futuro a energia pulita, le Regioni hanno riempito i tribunali di ricorsi e vertenze sulle installazioni e sull’individuazione delle aree idonee. Ecco, domani quando la competenza sarà completamente delle Regioni, andrà peggio. Le procedure si appesantiranno dal punto di vista burocratico, diventerà una giungla, ognuno deciderà per sé. Questo metterà in difficoltà gli investimenti delle aziende in tutto il settore dell’energia, come d’altronde è già avvenuto.
Che cosa intende dire?
Dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, nelle realtà dove ci sono i bacini di produzione dell’idroelettrico abbiamo notato un forte calo degli investimenti da parte delle aziende pubbliche e private. Mentre le Regioni non hanno risorse da destinare a questi sistemi, che hanno bisogno di manutenzione delle dighe, di pompe dell’acqua da acquistare, di lavorazioni sui fondali dei bacini. Ma l’attacco ai diritti e al modello confederale del Paese passa anche attraverso il disegno di legge lavoro, il più pericoloso di tutti: rischiano di saltare i contratti collettivi nazionali e il principio di rappresentanza.