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Lo scorso 29 maggio, il Consiglio dei ministri – in questo periodo pre-elezioni europee stranamente convocato ogni 3-4 giorni – ha varato un disegno di legge costituzionale per introdurre “Norme in materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinare”. Finalmente una riforma della giustizia che velocizzerà i tempi dei processi e che sarà più utile ai cittadini e alle cittadine? Che consentirà a giudici, pubblici ministeri, cancellieri, polizia giudiziaria, avvocati di lavorare meglio e più rapidamente per soddisfare i bisogni di giustizia e l’affermazione della legalità?
Assolutamente no. Se mai venisse approvata – e speriamo sinceramente di no – questa cosiddetta riforma non avrebbe assolutamente a che fare con l’efficacia ed efficienza della giustizia. Avrebbe, invece, molto a che vedere con la volontà di ridurre potere e autonomia della magistratura; avrebbe molto a che fare con la rottura degli equilibri costituzionali e con la messa in discussione della Carta del 1948, figlia della Resistenza e della Liberazione del fascismo e dal nazismo.
Perché la riforma?
Quale è il disegno che sta dietro questa “furia” riformista del governo? Meloni in un convegno sul premierato ha detto esplicitamente che se la Costituzione è di tutti, non è possibile che dentro vi sia una sola cultura politica. Dimenticando che il testo sul quale ha giurato è stato scritto da rappresentanti di tutte le culture politiche – peraltro eletti in libere le elezioni, le prime da oltre 20 anni e a suffragio universale. L’unica cultura non rappresentata è quella fascista e dei suoi eredi, che non furono eletti in Assemblea costituente. Secondo Christian Ferrari, segretario confederale della Cgil: “Dopo il premierato e l’autonomia differenziata, è la volta della separazione delle carriere dei magistrati. Sostanzialmente, le tre principali forze politiche della maggioranza stanno tentando, ciascuna per la sua parte, di sovvertire la Costituzione repubblicana e archiviare la centralità del Parlamento, l’unità nazionale e l’indipendenza del potere giudiziario”.
Cosa dice il Disegno di Legge
In estrema sintesi, la norma separa le carriere tra magistratura requirente e magistratura inquirente, sdoppia il Csm uno per ciascuna magistratura: i componenti laici saranno eletti dal Parlamento che sceglierà chi inserire in una lista dalla quale saranno poi sorteggiati, mentre quelli togati verranno sorteggiati e basta. Questi Csm si dovrebbero occupare esclusivamente delle nomine, visto che per eventuali azioni disciplinari dovrebbe essere istituita un’ulteriore corte che solo di ciò dovrebbe occuparsi.
Il vero obiettivo della norma
Per la prima volta, perlomeno a nostra memoria, tutte le organizzazioni di magistrati si sono espressi contro questo disegno di legge costituzionale, adombrando perfino la possibilità di scioperare.
Silvia Albano è la presidente di Magistratura Democratica e non nasconde la sua preoccupazione: “Così come prevista, la separazione delle carriere rischia di portare il pubblico ministero sotto l’egida dell’esecutivo. Mi spiego: questa riforma è stata pensata per ridimensionare il potere del pubblico ministero nel processo e nel Paese, ma ci vedo un’eterogenesi dei fini. Lo sdoppiamento dei Csm assegnerà ai pubblici ministeri, che oggi sono la minoranza del Consiglio, un grande potere perché si auto-governerebbero, quindi prima o poi il problema di ridurre questo potere si porrà”.
Una riforma che serve ai cittadini?
La giustizia italiana è lenta, a volte inefficiente: a pagarne lo scotto sono i cittadini e le cittadine. Immaginiamo, allora, che questa riforma serva migliorare la qualità della giustizia.
“La riforma costituzionale – afferma Giuseppe Santalucia, presidente dell’Associazione nazionale magistrati riguarda la magistratura, nella dimensione di potere e quindi delle relazioni con gli altri poteri, ma non incide affatto sulla giurisdizione come servizio ai cittadini. Sotto questo profilo è del tutto inutile. La verità è che abbiamo continuamente riforme delle leggi processuali. In questo momento siamo impegnati ad attuare l’ultima e assai corposa riforma del sistema penale e civile, quella varata dal governo Draghi, dalla ministra Cartabia; avremmo bisogno che il ministero che ha la responsabilità costituzionale della gestione dei servizi si occupasse del governo di questo processo, fosse più pronto alle mille esigenze che gli uffici manifestano. Invece abbiamo una totale inadeguatezza delle strutture ministeriali a fornire quello che per Costituzione devono fare: penso ad esempio al processo telematico che fa acqua da tutte le parti”.
Mal sopportano contrappesi e controlli
Prima gli attacchi alla libertà di informazione, poi alle istituzioni che per “statuto” hanno il compito di controllare, dalla Corte dei Conti all’Anac. Sembra davvero che il governo di destra mal sopporti quel delicato e raffinato equilibrio di pesi e contrappesi che con perizia i costituenti posero ad architrave della Costituzione. Sottolinea, infatti, Albano: “Se si legge questa riforma insieme a quella del premiato che prevede un premio di maggioranza alla coalizione che sostiene il premier, scritto in Costituzione, se si pensa che questa maggioranza dovrà mettere mano alle leggi istitutive dei Csm ci si accorge che tutti gli organi di garanzia così verrebbero assolutamente sminuiti, se non riportati nell'orbita della maggioranza. Con la maggioranza assoluta dei seggi parlamentari, quindi, la coalizione del capo del governo potrebbe eleggere da sola il presidente della repubblica, i giudici della Corte Costituzionale”. E potrebbe non finire qui. Aggiunge infatti la presidente di Md: “Poi avremo i membri laici dei consigli superiori della magistratura, che verrebbero nominati sempre nell'orbita della maggioranza di governo: la componente togata chiaramente indebolita perché sorteggiata e che non rappresenterebbe la magistratura nel suo insieme; un presidente della Repubblica che presiederebbe i due consigli superiori, però sminuito nella sua funzione di fronte a un presidente del consiglio eletto dal popolo. Insomma, ci avviamo verso una situazione molto preoccupante”.
È il disegno che fa paura
Premierato, autonomia differenziata, ora separazione delle carriere dei magistrati sono tessere di un unico mosaico, lo mette in evidenza Ferrari che aggiunge: “In definitiva se il disegno complessivo della destra vedesse la luce i fondamentali equilibri del nostro sistema democratico salterebbero, facendoci scivolare verso una vera e propria ‘democratura’
. Con ogni evidenza, chi siede a Palazzo Chigi pensa che le istituzioni non siano un patrimonio comune da preservare, ma una proprietà di cui poter disporre a piacimento. Non tengono neppure conto di rappresentare una minoranza del corpo elettorale, trasformata in maggioranza dalla legge elettorale”.“Rischiamo – aggiunge Albano – che le stesse basi dello stato di diritto siano messe in discussione da questo complesso di di riforme costituzionali che si stanno presentando all'orizzonte”.
Allarme democratico
Lo scorso febbraio l’Assemblea nazionale della Cgil pose in evidenza il rischio di una deriva autoritaria che sembra affermarsi dai diversi provvedimenti dell’esecutivo. Oggi Ferrari è ancor più allarmato: “Quel pericolo si è aggravato ed è reso ancor più attuale dall’accelerazione impressa alle controriforme istituzionali. Un’accelerazione portata avanti in assoluta solitudine, senza alcun confronto non solo con l’opposizione parlamentare, ma con i tanti esponenti e le molte realtà della società civile che hanno espresso dubbi, perplessità e – nella gran parte dei casi – aperta contrarietà a questa deriva. Stanno tentando di cambiare i connotati alla nostra democrazia snaturandola, svuotandola di partecipazione popolare. Il rischio è che, oltre al Parlamento e alla Presidenza della Repubblica, anche le forze sociali e i partiti politici contino poco o nulla”.
La responsabilità di non tacere
Lo dicevamo: l’Associazione nazionale magistrati nel suo insieme ha espresso fortissime perplessità sulla riforma della magistratura. Il perché lo spiega il dottor Santalucia: “Noi avvertiamo in questa riforma una volontà di mortificazione dell'ordine giudiziario. Ma non è per questo che ci stiamo muovendo. Quando si tocca la Costituzione si toccano i principi fondamentali di una comunità: noi interveniamo nel dibattito pubblico, non come portatori di interessi particolari, ma come cittadini avveduti per il mestiere che facciamo, per il terreno che occupiamo, con un dovere di parola che spendiamo a favore del dibattito pubblico”. “È in gioco – aggiunge - un equilibrio delicatissimo che riguarda tutti. La Costituzione è un bene collettivo, un bene di tutti, questa è la ragione per cui parliamo e lo facciamo con ogni disinteresse corporativo ma con un forte interesse, perché noi vediamo - dal nostro punto di vista privilegiato - alcuni pericoli e abbiamo il dovere di dirlo anche se rimaniamo inascoltati”.
Gli strumenti democratici per fermarli
A Napoli lo scorso 25 maggio il popolo della Via Maestra ha detto no al premierato, no all’autonomia differenziata, no alla manomissione della Costituzione. Il segretario confederale della Cgil chiosa con forza: “Non abbiamo nessuna intenzione di assistere passivamente alla cancellazione della Costituzione antifascista nata dalla Resistenza e fondata sul lavoro. Fortunatamente, non mancano gli strumenti democratici per impedire un simile stravolgimento e una verticalizzazione del potere senza precedenti e senza paragoni in Occidente. La Cgil, insieme a tutti coloro che hanno a cuore la nostra democrazia costituzionale, intende praticarli, a partire da quelli referendari. E siamo convinti che questa battaglia – certamente difficile – abbiamo tutte le possibilità di vincerla. Saranno le cittadine e i cittadini italiani a decidere del futuro del Paese”.