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Non si può negare la casa popolare a chi non risiede o non lavora da almeno cinque anni in una regione. È finalmente arrivata dalla Corte costituzionale il no alla Regione Lombardia, che aveva disposto una disciplina del genere e, secondo molti, lo aveva fatto esclusivamente per escludere i migranti.
Per i giudici della Consulta, invece, “è irragionevole negare l'accesso all'edilizia residenziale pubblica a chi, italiano o straniero, al momento della richiesta non sia residente o non abbia un lavoro nel territorio della Regione da almeno cinque anni”.
Questo requisito “non ha alcun nesso con la funzione del servizio pubblico in questione, che è quella di soddisfare l'esigenza abitativa di chi si trova in una situazione di effettivo bisogno”.
Nella sentenza depositata oggi, la Corte costituzionale ha accolto quindi la censura sollevata dal Tribunale di Milano. Secondo la Consulta, “il requisito non è sorretto da un'adeguata giustificazione sul piano costituzionale: sia perché quel dato non è, di per sé, indice di un'elevata probabilità di permanenza; sia perché lo stesso radicamento territoriale non può assumere un'importanza tale da escludere qualsiasi rilievo al dato del bisogno abitativo del richiedente”.
La durata della residenza sul territorio regionale potrebbe “semmai rientrare tra gli elementi da valutare nella formazione della graduatoria". La Corte costituzionale ha quindi ritenuto che “la norma impugnata violi i princìpi di uguaglianza e di ragionevolezza, in quanto fonte di una discriminazione irragionevole in danno di chi, cittadino o straniero, non possieda il requisito richiesto”. Ma la norma impugnata contrasta anche con “il principio di uguaglianza sostanziale, perché il requisito temporale richiesto contraddice la funzione sociale dell'edilizia residenziale pubblica”. In sostanza, si tratta di una norma discriminatoria.
Questa sentenza della Corte è solo l'ultima di molte altre che si stanno susseguendo contro atti e ordinanze discriminatorie nella regione. La Lombardia, dove la Lega governa da anni, sono infatti decine enti e amministrazioni che continuano a sfornare ordinanze discriminatorie nei confronti dei migranti. A ottobre 2019 noi di Rassegna avevamo svolto un lungo viaggio in quei territori proprio per raccontare come la Cgil resista, trascinando ogni volta i sindaci in tribunale. Qui l'inchiesta completa.