54 giornalisti uccisi, 550 arrestati, 55 tenuti in ostaggio, 95 scomparsi. In tutto il mondo. L’ultimo rapporto di Reporter senza frontiere 2024 Round-up denuncia un'allarmante intensificazione degli attacchi agli operatori dell’informazione, soprattutto nelle zone di conflitto, dove sono morti oltre la metà dei professionisti che hanno perso la vita quest'anno.

Uno su tre ucciso da Israele 

Al triste primato ha contributo in modo decisivo Israele: in un caso su tre i reporter sono stati colpiti a morte dalle forze armate di Tel Aviv. Secondo Rsf la Palestina è la regione più pericolosa in assoluto: almeno 145 i giornalisti uccisi a seguito dell'avvio dei raid e delle incursioni di Israele dopo gli assalti dei commando di Hamas del 7 ottobre 2023, di cui almeno 35 presi di mira durante lo svolgimento del loro lavoro.

L’organizzazione con sede a Parigi continua a indagare su queste morti per identificare e condannare gli attacchi deliberati contro gli operatori dei media e ha presentato quattro denunce alla Corte penale internazionale per crimini di guerra commessi contro i giornalisti. L’Asia è la seconda regione del mondo più pericolosa, per l'elevato numero degli operatori dei media uccisi in Pakistan (sette) e in Bangladesh (cinque).

Crimini orchestrati

“I giornalisti non muoiono, vengono uccisi, non sono in prigione, i regimi li rinchiudono, non scompaiono, vengono rapiti – afferma Thibaut Bruttin, direttore generale di Rsf -. Questi crimini, spesso orchestrati da governi e gruppi armati con totale impunità, violano il diritto internazionale e troppo spesso restano impuniti. Dobbiamo cambiare le cose, ricordare a noi stessi come cittadini che i giornalisti stanno morendo per noi, per tenerci informati. Dobbiamo continuare a contare, nominare, condannare, indagare e garantire che giustizia sia fatta. Il fatalismo non dovrebbe mai vincere. Proteggere coloro che ci informano significa proteggere la verità”.

Dietro le sbarre

Secondo il rapporto, è in aumento anche il numero dei reporter dietro le sbarre (più 7,2 per cento), dovuto in gran parte ai professionisti in custodia in Russia (più 8), che usa le sue prigioni come mezzo per reprimere i giornalisti indipendenti, e Israele (più 17). Quest’ultimo è il Paese che ha rinchiuso il maggior numero di operatori dell’informazione dall'inizio della guerra a Gaza a oggi, ed è ora la terza prigione per reporter più grande al mondo.

La prima è la Cina (124 detenuti, di cui 11 a Hong Kong), la seconda Myanmar (61 professionisti rinchiusi), la terza la Bielorussia (40): le prime quattro insieme detengono quasi la metà dei giornalisti detenuti. La condanna complessiva dei giornalisti in tutto il mondo è pari a 250 anni di carcere, a dimostrazione che la reclusione è usata come arma per reprimere la libertà di stampa.

55 in ostaggio

Il 70 per cento dei 55 giornalisti in ostaggio in tutto il mondo si trova in Siria. “La maggior parte è stata rapita dallo Stato islamico durante la guerra – scrive Rsf nel suo report - e dieci anni dopo è ancora estremamente difficile, se non virtualmente impossibile, ottenere informazioni sulla loro sorte e ubicazione. Adesso la caduta del regime di Bashar al-Assad ha aperto una finestra di speranza”.

Lo Yemen è l’unico Paese con nuovi ostaggi nel 2024, due sono stati rapiti nel 2024 dagli Houthi, mentre il Mali è l’unico con nuovi ostaggi nel 2023 : il regista Saleck Ag Jiddou e il conduttore Moustapha Koné di Radio Coton sono stati rapiti il ​​7 novembre 2023 da un gruppo armato. Il riscatto richiesto è ora di 4 milioni di franchi Cfa, circa 6.150 euro.

Rafforzare le protezioni 

Poi ci sono le sparizioni: a oggi sono 95 i giornalisti che risultano ancora scomparsi in 34 Paesi, quattro solo nel 2024 (Burkina Faso, Nicaragua, Russia e Siria), 28 nell'ultimo decennio in Messico, Siria, Mali, Repubblica Democratica del Congo, Palestina, Iraq.

“Le sparizioni sono spesso attribuite a governi autoritari o negligenti, il che evidenzia l'urgente necessità di combattere l'impunità e rafforzare le protezioni per i giornalisti – afferma Reporter senza frontiere, che invita tutti i Paesi a ratificare la Convenzione internazionale per la protezione delle persone dalle sparizioni forzate, adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 2006, ma che a oggi conta solo 75 ratifiche.