PHOTO
Da ministra dell'allora governo Prodi è stata protagonista dell'ultima riforma organica del sistema sanitario, la 229 del 1999, più conosciuta appunto come legge Bindi. Una riforma “non centralista”, tiene a sottolineare oggi la ex ministra, “perché – dice – nutro grande rispetto per le autonomie”. Tuttavia, quando affronta il tema del “regionalismo differenziato” - la riforma che l'attuale governo, su spinta di alcune regioni (Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna) sta portando avanti (e che è inserita nel “contratto” siglato da Lega e 5 Stelle) – Rosy Bindi non usa mezze misure e parla di “secessione dei ricchi”. Che è poi è il titolo dell'iniziativa promossa dall'associazione Libertà e Giustizia a Perugia e alla quale partecipano, insieme all'ex ministra, il costituzionalista Mauro Volpi ed Emanuele Barbieri del “Centro di iniziativa democratica degli insegnanti”.
Prima di tutto, secondo Bindi, c'è un grande problema di “opacità”: “Preoccupa il fatto che le bozze della legge siano segrete – afferma - abbiamo poche informazioni e non sappiamo se siano realtà. Non si conosce nemmeno il parere fondamentale del ministero dell'Economia. E poi – prosegue Bindi - sottoscrivo la preoccupazione del Presidente Repubblica rispetto alla condizione in cui il Parlamento verrebbe posto, cioè quella di approvare o respingere la legge, senza possibilità di emendarla. Vedo già qui evidenti vizi di incostituzionalità – prosegue la ex ministra - ma non possiamo sempre confidare nell'intervento della Suprema Corte, la Costituzione è di tutti e tutti dobbiamo difenderla”.
Ma il rispetto delle prerogative del Parlamento non è l'unico aspetto di dubbia costituzionalità nel progetto di regionalismo differenziato. Secondo Bindi, infatti, a rischio sono principi come l'universalità del sistema sanitario e la sua uniformità sul territorio. La riflessione dell'ex ministra parte però da lontano, più precisamente dalla riforma del Titolo V, “una riforma subita dal sistema sanitario", dice Bindi, e che "ha rotto la coerenza tra principi e modelli organizzativi”, aprendo ad una fase di “sperimentazione gestionale delle regioni, mai gestita dal governo nazionale”, perché “non abbiamo ancora capito cosa vuol dire essere un paese a forte regionalismo”.
Così si avvia la differenziazione dei modelli, che va dalla “concorrenza alla pari tra pubblico e privato” della Lombardia di Formigoni, all'azienda sanitaria unica delle Marche, o alla separazione netta tra ospedale e territorio della Toscana. A Fronte di questo processo di frammentazione, già in atto, secondo Bindi, per “salvare l'unità del sistema”, il nostro paese avrebbe bisogno di “un governo nazionale che faccia una verifica seria delle sperimentazioni gestionali di questi anni, promuovendo quelle positive e cancellando quelle negative. Non con imposizione, ma riconducendo a unità il sistema”.
La direzione nella quale si sta andando è però quella opposta: “In un mondo sempre più globale, qui si parla di scuole di specializzazione regionali per i medici, si parla di agenzie regionali del farmaco, quando è risaputo che la farmaco-vigilanza e l'equivalenza del farmaco sono fatti mondiali e che quello farmaceutico è uno dei mercati più multinazionali del mondo”.
Infine, c'è il nodo degli assetti istituzionali: “Tutte le regioni promotrici di questo progetto – ricorda Bindi – hanno chiesto di esercitare la loro autonomia negli assetti istituzionali. Ma così si andrebbe a interrompere quella ricerca di integrazione tra politica, managerialità e professionalità che ha caratterizzato il nostro sistema sanitario. Questo significa – insiste Bindi - che le scelte compiute 40 anni fa in questo paese vengono messe a rischio”.
Insomma, secondo l'ex ministra, quella intrapresa è una strada molto pericolosa: “Dovremmo muoverci esattamente nella direzione opposta, cioè verso una rinazionalizzazione, che non significa centralismo, perché ho grande rispetto delle autonomie e le regioni hanno garantito in alcuni casi risultati importanti. Per questo – conclude Bindi – le vorrei intorno a un tavolo, per applicare le sperimentazioni gestionali positive e cancellare le altre”.