Due provvedimenti su cui c'erano grandi attese, ma che alla prova dei fatti si sono dimostrati inadeguati. I numeri in Umbria dimostrano che Reddito di cittadinanza e Quota 100 non sono riusciti a centrare gli obiettivi prefissati. A fare una fotografia puntuale della situazione a livello regionale è la Cgil, attraverso il suo centro studi Ires e il suo patronato Inca, che hanno elaborato i dati più recenti sui due strumenti.
Per quanto riguarda il reddito di cittadinanza, nella nostre regione le persone che ne hanno usufruito sono 21.450, distribuite in 8.888 nuclei familiari. Il reddito medio erogato è pari a 488,20 euro per nucleo familiare. “È evidente – ha detto Mario Bravi, presidente Ires Cgil Umbria – che l’impatto dello strumento per la nostra regione è molto limitato". Infatti, da un’analisi dei dati a livello comunale (fonte Infodata) si può notare come l’accesso allo strumento per coloro che sono fuori dal mercato del lavoro (% del totale delle richieste accolte sulle persone nella fascia 15-64, che nel 2018 non hanno presentato una dichiarazione dei redditi) sia molto basso. Si va dall’8,5% di Valtopina, ad appena l’1% di Lisciano Niccone. Tra i Comuni con il dato più alto e sopra la media nazionale si trovano oltre a Valtopina, Preci, Fossato di Vico, Nocera Umbra, Terni e Foligno. Perugia si attesta al 5,7%.
“Questi dati dimostrano che c’è bisogno di rivedere e perfezionare lo strumento – ha aggiunto Bravi – sia nell’ottica di una risposta alla grande questione della povertà, che in Umbria è in costante aumento, sia a quella del lavoro”.
Discorso simile anche per un altro provvedimento molto atteso, Quota 100. "In Umbria – ha spiegato Anna Rita Manuali, coordinatrice Inca Cgil regionale – le domande, presentate al 6 settembre, sono state 2.520, di cui 1.954 in provincia di Perugia e 566 in quella di Terni. La previsione iniziale, però, era molto più alta: oltre 4.000 domande a livello regionale. Fra l’altro, si conferma la forte penalizzazione per le donne, visto che solo il 25% delle domande presentate riguarda le lavoratrici”. Ergo, secondo l’Inca e la Cgil, il provvedimento va rivisto, introducendo maggiore flessibilità e tenendo in considerazione il lavoro femminile e i lavori gravosi e discontinui che rendono molto difficile il raggiungimento della contribuzione necessaria (42 anni e 10 mesi per gli uomini, 41 anni e 10 mesi per le donne).
“Tuttavia – ha precisato Manuali –, non vorremmo che si butti via il bambino con l’acqua sporca. Sulla base di Quota 100, infatti, sono stati già sottoscritti accordi tra aziende e lavoratori per la fuoriuscita anticipata, appoggiandosi alla Naspi. Un'eventuale cancellazione del provvedimento tout court, quindi, produrrebbe un nuovo caso esodati, cosa che va assolutamente evitata”.