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Una parte dei fondi del Recovery plan potrebbe essere destinata a “rinnovare la capacità e i sistemi d‘arma” italiani. I fondi messi a disposizione dalla Commissione Ue per rialzare l'Europa prostrata dalla pandemia e per renderla “più moderna e sostenibile”, insomma, secondo il parlamento italiano dovrebbero servire anche ad armare meglio il nostroPaese.
E' quanto emerge dalle relazioni definite e votate in questi giorni dalle Commissioni competenti. Nel testo licenziato dalla Camera si raccomanda infatti di “incrementare, considerata la centralità del quadrante mediterraneo, la capacità militare dando piena attuazione ai programmi di specifico interesse volti a sostenere l’ammodernamento e il rinnovamento dello strumento militare, promuovendo l’attività di ricerca e di sviluppo delle nuove tecnologie e dei materiali, anche in favore degli obiettivi che favoriscano la transizione ecologica, contribuendo al necessario sostegno dello strategico settore industriale e al mantenimento di adeguati livelli occupazionali nel comparto”.
Della stessa opinione sembra essere anche il Senato. Per il quale “occorre, inoltre, promuovere una visione organica del settore della Difesa, in grado di dialogare con la filiera industriale coinvolta, in un’ottica di collaborazione con le realtà industriali nazionali, think tank e centri di ricerca”. Viene poi ipotizzata anche la realizzazione di cosiddetti “distretti militari intelligenti” per attrarre interessi e investimenti.
Una posizione chiara, quindi, e che sembra convincere l'intero arco parlamentare. Se è vero, com'è vero, che le commissioni Difesa della Camera e del Senato hanno approvato all’unanimità i pareri consultivi, mentre alla Camera i commissari hanno addirittura concentrato il loro dibattito sulla “opportunità” di accrescere ulteriormente i fondi a favore della spesa militare fornita dal Piano.
Il governo è d'accordo. Il rappresentante dell'esecutivo,infatti, ha sottolineato come i pareri votati “corrispondano alla visione organica del Pnrr” (il Piano nazionale di ripresa e resilienza, il programma di investimenti che l'Italia deve presentare alla Commissione europea ndr) dell'esecutivo Draghi, che evidentemente ritiene che la ripresa del nostro Paese si debba attuare anche attraverso la corsa agli armamenti.
“Riteniamo questa decisione inaccettabile – ci spiega Francesco Vignarca della Rete italiana pace e disarmo -. Perché queste posizioni contraddicono le finalità del Piano europeo per la ripresa, e ora il governo, qualora decidesse di farlo, troverà la porta aperta per utilizzare arte di quei fondi per l'acquisto di nuove armi”. Il parlamento, nel silenzio quasi generale, ha infatti ripreso a lavorare sulle bozze del precedente governo. Nelle quali, ricorda Vignarca, “l’ambito militare veniva coinvolto nel solo per aspetti secondari, come l’efficienza energetica degli immobili della difesa e il rafforzamento della sanità militare.” Qualcosa, insomma, è cambiato, anche perché nel frattempo “sono stati auditi i rappresentanti dell’industria militare (Aiad, Anpam, Leonardo spa ndr), mentre non sono state prese in considerazione le 12 Proposte di pace e disarmo elaborate dalla Rete italiana pace e disarmo, che abbiamo inviato a tutte le commissioni competenti”.
Sembrerebbe una scelta di campo ben precisa. Ma che secondo Vignarca non ha alcun senso: “Il comparto degli armamenti, è bene ricordarlo, già riceverà almeno il 18%, quasi 27 miliardi di euro, dei Fondi pluriennali di investimento attivi dal 2017 al 2034”. Anche se non parrebbe un settore esattamente decisivo per le sorti dell'economia nazionale: “Nel Pil 2020 non arriva a superare la quota dell'1%, rappresenta poco più dello 0,7% dell'export italiano e lo 0,21% degli occupati diretti del paese” Insomma, “Le bombe sono sempre strumenti di morte, non portano sviluppo, non producono utili, non garantiscono futuro”. Figurarsi la “ripresa” e la “resilienza” di un Paese come l'Italia.