La sera del 10 marzo 1948 Placido Rizzotto, 34 anni, partigiano, socialista e segretario generale della Camera del lavoro di Corleone, è sequestrato da un gruppo di persone guidato da Luciano Liggio.  Lo circondano in strada a Corleone, lo caricano sulla 1100 di Liggio, lo portano in una fattoria di Contrada Malvello, lo picchiano a sangue e gli fracassano il cranio. Poi fanno sparire il corpo.

Sarà il capitano dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa a indagare sul delitto Rizzotto. Il lavoro dell’ufficiale, destinato a divenire un nome celebre nel corso dei decenni successivi, porterà all’incriminazione di Luciano Liggio, Pasquale Criscione e Vincenzo Collura che tuttavia, alla fine del 1952, verranno assolti per insufficienza di prove.

Per uno strano scherzo del destino, attorno all’omicidio di Placido Rizzotto ci sarà una convergenza di giovani uomini che diventeranno noti: da una parte Carlo Alberto Dalla Chiesa e Pio La Torre, giovane studente universitario che sostituirà Rizzotto alla guida dei contadini, dall’altra, Luciano Liggio e i suoi uomini che arriveranno ai vertici della mafia. 

“Ho visto con i miei occhi il sequestro di Placido Rizzotto - confesserà circa sessanta anni dopo Luca, al tempo dell’intervista pensionato ottantenne - La sera di quel 10 marzo 1948, ero un ragazzo di appena vent’anni. Stavo percorrendo via Bentivegna per tornare a casa, ero arrivato all’altezza di via San Leonardo, proprio davanti alla chiesa, quando vidi alcune persone che discutevano animatamente, quasi litigando. Tra queste, riconobbi Rizzotto, lo sentii urlare “Adesso basta, lasciatemi andare!”. Ma quelli non lo lasciarono andare. Anzi, l’afferrarono a forza e lo trascinarono dentro una macchina scura col motore già acceso. Allungai il passo, spaventato, rientrai a casa e non dissi niente a nessuno, nemmeno a mio padre. Questa è la prima volta che parlo di quella sera, di quella terribile sera di marzo, in cui sparì il segretario della Camera del lavoro (…) La gente penserà che sono stato un vigliacco – dice – e forse lo sono stato davvero. Allora, però, personaggi come Luciano Liggio e i suoi “compari” tenevano nel terrore tutti i corleonesi. Ed io avevo solo vent’anni…” (Dino Paternostro, Quella sera vidi gli assassini di Rizzotto, in «La Sicilia», 6 marzo 2005).

Luca non è, però, l’unico testimone del rapimento. Anche Giuseppe Letizia, 12 anni, assiste all’omicidio. La notte del delitto Giuseppe è nelle campagne corleonesi con il proprio gregge. Il giorno dopo, delirante a causa della febbre altissima, viene accompagnato dal padre all’Ospedale dei Bianchi, diretto dal capomafia di Corleone Michele Navarra, “Il Padre Nostro”. Nel delirio della febbre il ragazzo racconta di un contadino assassinato nella notte. Curato con un’iniezione, Giuseppe morirà ufficialmente di tossicosi.

Il caso sarebbe probabilmente passato sotto silenzio, se l’Unità del 13 marzo 1948 non avesse pubblicato un articolo di denuncia in prima pagina: “C’è motivo di pensare, e molti in paese sono a pensarla così - scriveva il giornale - che il bambino sia stato involontariamente testimone dell’uccisione di Rizzotto e che le minacce e le intimidazioni lo abbiano talmente sconvolto da provocargli uno shock e come conseguenza di esso la morte”.

Ancora più esplicita sarà La Voce della Sicilia del 21 marzo: “Un bimbo morente ha denunciato gli assassini che uccisero Placido Rizzotto nel feudo Malvello”. Nessuno indagherà sulla morte di Giuseppe e sulla tragica vicenda si non si accenderanno mai i riflettori (non esiste nemmeno una sua tomba; allora fu sepolto nella terra e dopo alcuni anni i suoi resti furono raccolti e depositati nell’ossario comunale). Solo nel 2011 il Comune di Corleone gli dedicherà una strada.

Con il passare degli anni e la scalata al potere mafioso di Liggio per lungo tempo a Corleone anche di Placido Rizzotto non si parlerà più. Soltanto negli anni Settanta un gruppo di giovani coraggiosi darà vita al circolo popolare ‘Placido Rizzotto’, un’esperienza che si concluderà, però, in pochi mesi. Cinque anni più tardi, nel marzo 1983, la Camera del lavoro di Corleone e il gruppo giovanile di ‘Corleone alternativa’, organizzeranno insieme alla Segreteria della Federbraccianti siciliana una significativa manifestazione per ricordare il 35° anniversario dell’assassinio di Rizzotto.

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Il 13 marzo 1988 per ricordare il 40° anniversario dell’assassinio di Placido Rizzotto arriverà a Corleone Antonio Pizzinato, allora segretario generale della Cgil, insieme a Luigi Colajanni, segretario provinciale del Pci, e Nino Buttitta, segretario provinciale del Psi.

Nel 1998, in occasione del 50° anniversario della morte, la Camera del lavoro e il Comune di Corleone organizzeranno una importante iniziativa, conclusa dal comizio di Sergio Cofferati, segretario generale della Cgil.

Il 7 luglio 2009, all’interno della  foiba di Rocca Busambra a Corleone, vengono rinvenuti resti umani. Nel marzo 2012 l’esame del dna, comparato con quello estratto dal padre di Placido, Carmelo Rizzotto, morto da tempo, confermerà l’appartenenza al sindacalista siciliano dei resti rinvenuti.

Il 16 marzo 2012 il Consiglio dei ministri deciderà per Placido Rizzotto i Funerali di Stato, svolti a Corleone il 24 maggio 2012 alla presenza del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e dell’allora segretaria generale della Cgil Susanna Camusso.

“Diciamolo che Rizzotto denunciava la mafia - tuonava davanti al cimitero di Corleone quel 24 maggio don Luigi Ciotti - e che in questi 64 anni Placido Rizzotto ha continuato a parlare da quella fessura della terra per bocca di Giuseppe Letizia, il ragazzino di 12 anni che vide gli assassini e fu ucciso (“Anche lui è un martire”, aggiungerà Emanuele Macaluso), per bocca del giovane Carlo Alberto Dalla Chiesa che condusse le indagini e di Pio La Torre, successore di Placido alla Camera del lavoro di Corleone. Lo spirito di Placido Rizzotto ha continuato e continua a vivere nei tanti che le sue lotte non si sono limitati a ricordarle ma le hanno assunte come un grande impegno. (...) Placido Rizzotto, però, oggi ci chiede una cosa: ci chiede di aprire gli occhi, di non ripiegarci negli egoismi e nelle paure, nell’indifferenza e nella protesta sterile, di non scaricare sugli altri le nostre omissioni e le nostre responsabilità. (...) Contro la mafia è il noi che vince, la vittoria non è opera di navigatori solitari”.

Non si nasce schiavi o padroni chi ci vuole diventare ci diventa. Noi dobbiamo restare uniti, compagni, perché da soli non si cambiano le cose (P. Rizzotto)