Il tempo stringe, accorre raccogliere 500mila entro il 30 settembre. Solo se ci si riuscirà potremmo andare alle urne, entro la prossima primavera, per abrogare una legge che divide il Paese, impoverisce cittadini e lavoratori del Sud come del Nord, rende tutti e tutte meno liberi e più soli. Riuscire in questa impresa è possibile, anzi necessario per far si che una domenica tra il 15 aprile e il 15 giugno del 2025 si trasformi in una festa democratica per il lavoro dignitoso e la Costituzione. E già perché se l’impresa di raccogliere le sottoscrizioni necessarie in meno di 70 giorni riuscirà, si andrà alle urne per votare sia i referendum della Cgil per un lavoro dignitoso, stabile, libero e sicure, sia per abrogare la Legge Calderoli per una Italia unita, libera giusta.

Lo scorso fine settimana è partita la raccolta firme, il segretario generale della Cgil Maurizio Landini ha firmato a Roma sabato mattino nel banchetto allestito all’ingresso dell’Ospedale San Filippo Neri per ricordare a tutti e tutte che se l’Autonomia differenziata partisse, sarebbe la fine del Servizio Sanitario pubblico e universale. Sarà possibile firmare sia nei banchetti che saranno allestiti in tutto territorio nazionale, nelle feste di partito e sindacali, lungo le spiagge e le vie montane delle vacanze, nelle piazze e nelle strade o nei parchi pubblici delle città, sia on line cliccando qui per entrare nella piattaforma nazionale del referendum.

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Perché firmare

Innanzitutto per una Italia unita, libera e giusta. Per rivitalizzare la democrazia oggi in crisi basta osservare il livello di astensionismo registrato nelle ultime tornate elettorali. La crisi ha radici profonde e dipende innanzitutto dalle condizioni materiali di vita e di lavoro di una larga fascia della società, che sono in peggioramento da anni e non trovano nessuna risposta da parte delle Istituzioni. Se vogliamo davvero salvare la nostra democrazia non ci sono scorciatoie: va affrontata e risolta la questione sociale, da qui il legame inscindibile tra referendum contro l’autonomia differenziati e i 4 della Cgil che lo scorso 19 luglio ha consegnato in Cassazione ben 4 milioni di firme.

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La legge Calderoli divide il Paese

Sono ben 23 le materia che secondo la legge da abrogare ciascuna regione può chiedere e amministrare in via esclusiva. Dall’ambiente alla salute, dall’istruzione ai trasporti, dall’energia all’industria, dalla protezione civile alla ricerca scientifica e via andare. Il risultato sarebbe che tutti i cittadini e le cittadine, quelli che vivono nelle regioni meridionali e quelli che vivono in quelle settentrionali pagherebbero il prezzo di una Italia delle piccole patrie, o arlecchino, irrilevanti in Europa e nel mondo.

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Indebolisce il lavoro

I presidenti di Veneto, Lombardia e Piemonte hanno già battuto un colpo chiedendo al Governo di provvedere rapidamente alla devoluzione delle materia che non prevedono i Livelli essenziali delle prestazioni, visto che le altre prima della definizione dei Lep e per farlo la Legge dice ci son 24 mesi di tempo, non si possono devolvere. Tra quelle che si possono concedere subito, ad esempio, c’è la protezione civile, ed allora Zaia o Fontana potrebbero reclutare direttamente il personale assumendoli decidendo quale salario e quali diritti tutele e compiti svolgere. Insomma l’Autonomia differenziata mette in discussione il Contratto collettivo nazionale di lavoro che rappresenta un pilastro dell’unità e della coesione del Paese. Si è già sentito di nuove parlare di gabbie salariali, se tornassero davvero sancirebbero un ulteriore impoverimento dei salari, già assai poveri.

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Colpisce la sicurezza

Non passa giorno che non si debba aggiornare il conto degli incidenti e dei morti sul lavoro. Se non si abrogherà la Legge Calderoli la situazione potrebbe addirittura peggiorare. La competenza legislativa su salute e sicurezza sarà in campo esclusivamente alle regioni ciascuna potrà decidere quanti e con quali requisiti ispettori assumere, come organizzare ispezioni e prevenzione. Il tutto in una competizione al ribasso sulla pelle di lavoratori e lavoratrici.

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Smantella l’istruzione pubblica

Ogni regione potrebbe assumere gli insegnati che vuole e decidere i programmi scolastici. Insomma verrebbe colpita la scuola della Repubblica, minata l’identità culturale del Paese. A pagarne le spese sarebbero gli studenti e le studentesse di oggi che hanno diritto ad una istruzione nazionale, aperta al mondo. E pagherebbero anche i cittadini e le cittadine di domani che affronterebbero il mondo con una istruzione ristretta e provinciale.

Privatizza la salute

Già oggi l’aspettativa di vita di un bimbo nato a Napoli o a Reggio Calabria è inferiore rispetto a quello nato a Milano o a Bolzano. Domani non solo i divari nei determinanti della salute aumenteranno, ma con l’Autonomia Differenziata chi avrà le risorse potrà curarsi gli altri no. E sarà più veloce il processo si smantella mento del Servizio Sanitario Nazionale e la privatizzazione della salute. Altro che ricostruzione della sanità territoriale che la pandemia ha dimostrato essere indispensabile per tutelare la salute di ciascuno e pure quella pubblica.

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Demolisce il welfare universalistico

I padri e le madri costituenti avevano ben presente che Italia fosse quella uscita dalla guerra, quanto fosse disgregata e frammentata. E pure ingiusta. Misero in Costituzione due principi fondanti la nostra società, da un lato la tassazione deve essere progressiva proporzionata al reddito, dall’altro che il sistema di welfare pubblico e universale fondato sul principio di solidarietà, è lo strumento per redistribuire la ricchezza prodotta dal Paese. La Legge Calderoli prevede che il “residuo fiscale” rimanga alle regioni più ricche e così, con un tratto di penna si cancellano i due principi fondanti la nostra società senza più solidarietà e redistribuzione della ricchezza tra regioni finirebbe il welfare pubblico e universale e così ci impoveriremmo tutti, sia i cittadini del Nord che quelli del Sud.

Frena lo sviluppo

È immaginabile nel 2024 in un mondo dall’economia e dalla finanza senza confini, immaginare che ciascun territorio decida su energia, reti e infrastrutture, porti e aeroporti, telecomunicazioni, ambiente, ricerca scientifica, commercio estero, rapporti con l’Ue? Succerebbe inevitabilmente che ci si metterebbe in competizione gli uni con gli altri, e che nella dimensione sovra nazionale l’Italia conterebbe sempre meno. Il risultato inevitabile sarebbe minare ulteriormente e definitivamente il sistema economico e lo sviluppo del Paese.

Frammenta le politiche ambientali

Ma che senso ha pensare che la Lombardia decida di abbassare di due gradi il riscaldamento domestico, mentre il Piemonte investe sulle colonnine per le auto elettriche, e la Liguria decida di non abbandonare il carbone, e potremmo a lungo continuare. Se esiste materia che non può essere frammentata è quella delle politiche ambientali. La sfida dei cambiamenti climatici o l’affrontiamo tutti insieme, anche oltre i confini nazionali, o abbiamo perso tutti. Altro che regionalizzazione e autonomia.

Firmare, firmare, firmare e far firmare

Questo deve essere l’impegno delle prossime settimane. Al mare, in montagna, in città o per via telematica. Solo così, vincendo poi la scommessa del quorum, scamperemo il pericolo della fine dell’Italia “una e indivisibile”, come Costituzione indica.

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