PHOTO
Il testo che segue è parte di un intervento tenuto nel corso dell'iniziativa Città sostenibili, lo scorso 24 marzo 2021.
Abbiamo voluto organizzare questa giornata insieme all’area Welfare perché crediamo sia molto importante riunire e rendere organiche le nostre elaborazioni e il nostro punto di vista sulle politiche delle aree urbane. L’approccio che vogliamo tenere e che la pandemia rafforza è sistemico, multisettoriale e interdisciplinare. Nei documenti ufficiali di importati istituzioni si parla di agenda urbana per evidenziare un modello di intervento pluridimensionale. Coerente con il modello di organizzazione di qualunque ecosistema urbano che non è la somma di interventi ma un sistema di gestione integrata.
Oggi parlare di politiche urbane significa affrontare la dimensione ecologica, economica, e dell’inclusione sociale. Il “peso” su questi tre assi delle città è rilevante, basta pensare che oltre la metà della popolazione mondiale vive nelle città, l’85% del Pil globale è generato dalle aree urbane, così come il 50% della produzione di rifiuti e il 70% delle emissioni. Allo stesso tempo, sono anche i luoghi dove si accentuano le disuguaglianze, a partire da quelle sociali e di accesso ai beni pubblici essenziali.
Le relazioni di questa mattina affronteranno almeno due di questi aspetti, città inclusiva e città ecologica, sui quali c’è un lavoro importante messo in campo dalla Cgil. Inoltre avremo un contributo sulla città digitale, tema sul quale nei mesi scorsi si è fatta una serie di iniziative e approfondimenti.
Partiamo nella nostra riflessione dall’esperienza di alcune Camere del lavoro e delle categorie, riflessione che non vogliamo chiudere oggi ma vogliamo implementare.
In questa fase storica, gli effetti della pandemia sia immediati che di prospettiva hanno soprattutto nelle città un impatto pesantissimo sul versante sociale, a partire dall’accessibilità ai servizi primari di cittadinanza ed economici. Per le misure di distanziamento sociale e di sicurezza che stanno trasformando la mobilità, il commercio, gli stessi modelli di organizzazione del lavoro con la sua remotizzazione e gli stili di vita. Queste trasformazioni congiunturali diventeranno in parte durature e inevitabilmente modificheranno gli spazi e i tempi della città.
Oltre agli effetti che stiamo affrontando, ci sono i nodi che da tempo non si risolvono. In particolare la frammentarietà delle politiche abitative (tema sul quale abbiamo proposte unitarie insieme a Cisl e Uil), la mancanza di progetti strutturali di riqualificazione urbana, delle periferie e dell’accessibilità ai servizi minimi. Il livello di sofferenza delle fasce più vulnerabili è altissimo su questo versante, cosa che rende incomprensibili alcune resistenze sulla proroga del blocco degli sfratti che si sono registrate nella discussione sulla legge di bilancio. Ancora irrisolte alcune scelte istituzionali a partire dall’assetto delle aree metropolitane e dalle province.
Il rischio è che l'accelerazione impressa dalla pandemia misuri soprattutto sulle città il portato delle disuguaglianze economiche e sociali in una dimensione forse mai vista, primi segnali di ciò sono l’aumento delle povertà e del livello di sofferenza sociale.
Sarà molto importante segnare una discontinuità delle politiche nell’utilizzo delle risorse europee e nazionali che può fare la differenza. I tre driver di intervento indicati dalla UE, digit, green e coesione sociale sono gli elementi su cui si fonda un nuovo modello di sviluppo urbano. Se guardiamo alla dimensione ecologica, le scelte sull’efficientamento degli edifici, l’implementazione delle rinnovabili, la mobilità sostenibile, la messa in sicurezza e la circolarità dello sviluppo economico rappresentano le matrici fondamentali su cui innestare la dimensione sociale che è fatta dal rafforzamento del sistema sanitario e dei servizi educativi e del sistema di istruzione. Questi tre assi di intervento non rappresentano le scelte di base di Next generation Eu ma individuano le tre dimensioni economiche del prossimi dieci anni se non di più. E’ chiaro quindi che le scelte che il nostro governo ha individuato nel Pnrr saranno strategiche per ridefinire l’ecosistema urbano e le agende urbane.
Per riuscire a ottenere questa trasformazione, c’è un primo tema che attiene alla sistematicità degli interventi, in un quadro dove le responsabilità sono disperse in tanti luoghi istituzionali diversi. Manca un punto di coordinamento non solo in relazione al Pnrr. In questo senso sarebbe importante mettere in campo il Comitato interistituzionale per le politiche urbane (Cipu) per rendere maggiormente coerenti le scelte sul versante nazionale. In secondo luogo manca una sede dove il coinvolgimento delle parti sociali sia istituzionalizzato e sia parte attiva delle scelte di politica territoriale. Terzo elemento: è sicuramente necessaria una continuità delle scelte per almeno un decennio. Next generation non può essere un meteorite che irrompe nella dinamica economica del continente. Dobbiamo invece considerarlo come un grande innesco che ridefinisce la missione strategica della nostra economia e indica la traiettoria. Questo significa che le risorse europee, inclusi i fondi strutturali della nuova programmazione (a partire dal Pon metro e non solo), e le risorse nazionali dovranno non solo essere indirizzate a sostenere i tre driver di sviluppo, ma che alcune di queste dovranno diventare strutturali (penso ad esempio al super bonus e a tutte quelle misure legate a stimolare efficienza e cambio energetico, piuttosto che l’accessibilità come le barriere architettoniche, piuttosto che le misure finalizzate alla diffusione e generalizzazione della presenza degli asili nido).
Quarto tema è sicuramente la pianificazione e programmazione: quindi la qualità delle scelte e la qualità della programmazione territoriale. Sarebbe sbagliato pensare che ce la caviamo con la logica del “meteorite”, piani solo ed esclusivamente finalizzati al breve termine. Il grande innesco ha bisogno di una programmazione di medio e lungo termine, e quindi di recuperare ruoli e capacità amministrativa, che passa da un rafforzamento degli enti locali sul versante del personale, da una revisione delle regole fiscali a partire dal patto di stabilità interno, dal dare quindi continuità alle misure e agli investimenti.
E’ evidente quanto tutto ciò impatti sul lavoro, quello che c’è e quello che dovrà essere creato e quello che si trasformerà. Siamo certi che proprio nelle aree urbane i lavori si trasformeranno per effetto del salto tecnologico e green con una rapidità maggiore di quanto probabilmente immaginavamo. Riprogrammare il modello di città significa affrontare le trasformazioni nel lavoro e sperimentare sul versante della creazione anche nuovi schemi come la creazione diretta.
Il ruolo delle organizzazioni sindacali è quindi molto importante, ci chiama in causa direttamente per rispondere alle condizioni materiali di chi rappresentiamo, lavoratori e pensionati, e quindi affrontare i divari sociali che vedono oggi inaccettabili disparità di trattamento e di accesso ai diritti di cittadinanza tra classi sociali e tra territori, a partire dal Mezzogiorno. Portato di questo ruolo è la costruzione di un modello nuovo di contrattazione territoriale che tenga insieme questa complessità e si cimenti nell’orizzonte della contrattazione per lo sviluppo sostenibile. Un modello che tenga insieme gli elementi prioritari nel paradigma di ecosistema urbano. È, credo, la frontiera contrattuale a cui siamo chiamati a contribuire per ridefinire il modello di lavoro e di lavori. Un quadro come quello che ho provato a rappresentare ha bisogno di luoghi istituzionalizzati del confronto, che non può scivolare nel semplice dialogo sociale ma che deve trarre spunto dalle migliori esperienze di negoziazione territoriale e sociale e della contrattazione nazionale. Istituzionalizzare il luogo e il ruolo alla fine significa riconoscimento delle istanze della rappresentanza sociale.
In questo quadro il ruolo delle Camere del lavoro è centrale per la presenza e l’insediamento capillare nel paese, per la funzione di aggregatore delle istanze di tutti sul territorio. Le Camere del lavoro, se ci pensiamo, in piccolo rappresentano quel modello ecosistemico di cui stiamo parlando oggi. Un ecosistema del lavoro dove c’è l’equilibrio di tutte le sue parti, allo stesso tempo è il luogo-comunità che accoglie e raccoglie i bisogni per il suo stare nei luoghi del lavoro.
Un valore straordinario e un luogo straordinario.
In questo senso sono rappresentativi anche i grandi aggregatori della dimensione sociale e di chi si muove in quell’ambito, che siano associazioni, comunità, i nuovi luoghi associativi che si strutturano per rispondere alle necessità del quartiere o della comunità, ai bisogni ambientali, alle marginalità e alle vulnerabilità . Oggi proveremo a parlare di tutto questo con tante strutture e importanti ospiti nella tavola rotonda finale.
Gianna Fracassi è Vice segretaria generale della Cgil