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In tutte le piazze italiane di nuovo per dire forte e chiaro: No al ddl sicurezza. “Saremo in piazza in tutta Italia per denunciare un provvedimento sbagliato e pericoloso, che limita le libertà fondamentali sancite dalla Costituzione e colpisce i diritti di sciopero, di manifestazione e di dissenso senza affrontare i reali problemi del Paese”. Così la Cgil nazionale annuncia l’adesione alla giornata di mobilitazione nazionale contro il ddl sicurezza. Una sicurezza che non si costruisce con la repressione, ma con il lavoro dignitoso, con contratti nazionali che prevedano salari adeguati e servizi pubblici efficienti e accessibili a tutte e tutti”, si legge nella nota. Per la Confederazione di Corso di Italia “il Governo deve ritirare immediatamente questo provvedimento, che aumenta le disuguaglianze e restringe i diritti invece di tutelarli, e concentrarsi sulle vere emergenze del Paese: lavoro, sanità, istruzione e giustizia sociale”.
Tra le organizzazioni della rete “No ddl sicurezza” che ha promosso la giornata di mobilitazione c’è Amnesty International, abbiamo chiesto a Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, di quale tipo di sicurezza c’è bisogno in Italia e perché quella voluta dal governo con questo provvedimento non è sicurezza.
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Un'altra giornata di mobilitazione nazionale contro il cosiddetto decreto sicurezza. Ma è sicurezza quella che si vuole costruire con quelle norme?
No, non è affatto sicurezza, se non un concetto di sicurezza fallace e basato sulla negazione di diritti, sulla restrizione degli spazi di libertà, sulla criminalizzazione del pensiero critico e del dissenso, sull'aumento presumibile, anzi assai probabile direi, della popolazione carceraria a seguito di questa serie di norme. Ha molto senso, quindi, continuare a scendere in piazza perché comunque il percorso di questo provvedimento, che sembrava dovesse essere assai accelerato, ha subito un rallentamento; sono convinto che dipenda anche dal fatto che molte persone in Parlamento e soprattutto fuori dal Parlamento si sono messe di traverso.
Uno degli obiettivi di questo provvedimento è quello appunto di limitare la possibilità di manifestare un pensiero differente. C'è paura delle opinioni contrarie?
Certo, c'è paura delle piazze. lo diciamo noi di Amnesty International che quest'anno compiamo 50 anni: il progresso culturale e legislativo nel campo dei diritti umani nel nostro Paese è arrivato dalle piazze, non dai governi. E quindi sono quelle piazze che possono produrre il cambiamento. Ora, il ddl sicurezza colpisce gruppi vulnerabili, già penalizzati, penso in particolare all'accanimento nei confronti dell'attivismo per la giustizia climatica, ma rischia di colpire un po' ovunque, anche le persone che pensano di essere al riparo. Se analizziamo bene questo provvedimento, scopriamo che criminalizza forme di resistenza non violenta: penso ai picchetti di lavoratrici e lavoratori di fronte a fabbriche improvvisamente delocalizzate - ad esempio –, oppure colpirà le famiglie che nel messinese dovessero decidere di manifestare contro il loro sgombero per far posto ad un pilone del ponte sullo Stretto di Messina, se e quando si farà. Il ddl rischia di prendersela con docenti e personale non docente che magari protesteranno pacificamente perché la scuola non funziona, ci piove dentro, non funzionano i riscaldamenti, e si incateneranno fuori dalla scuola. Ma se il governo pensava che l'opinione pubblica fosse indifferente, perché esclusa direttamente dagli effetti di questo provvedimento, ha commesso un errore.
Se, come appare evidente, il governo vuole restringere gli spazi di manifestazione del dissenso e – come lei ci ricordava – proprio la partecipazione dei cittadini e delle cittadine contrari a tale provvedimento ne sta quantomeno rallentando l'iter, allora mobilitarsi serve?
Ci vuole testa, ci vuole cuore, ci vogliono piedi perché non basta essere una persona attiva sulle piattaforme social, che pure è importante. Occorre la testa per avere una strategia, occorre il cuore o la pancia per emozionarsi e indignarsi, ma ci vogliono soprattutto i piedi per camminare, ci vogliono mezzi con cui muoversi nelle piazze, questo è fondamentale. E ci vuole costanza. Se pensiamo che sia sufficiente andare in piazza una volta e poi tutto è risolto, ci sbagliamo. Quelle per i diritti sono campagne molto lunghe e se il provvedimento dovesse passare, bisognerà continuare a manifestare, a stare in piazza per dire che non siamo contenti e che c'è un problema di diritti, libertà, democrazia profondamente a rischio in questo Paese.
Il ddl sicurezza, i decreti Cutro e quello contro i rave, le norme contro la libertà di informazione: provvedimenti che se presi a uno a uno forse non lasciano intuire il disegno complessivo, ma messi tutti insieme quale mosaico restituiscono?
Ricordiamoci che uno dei primi provvedimenti nel primo Consiglio dei ministri fu il cosiddetto decreto anti-rave, preoccupante non solo per il suo contenuto, ma anche perché ha fatto passare l’idea che le persone che si radunano sono una emergenza. Ebbene, quell’idea ha disegnato il futuro di altri provvedimenti. Il quadro è chiaro: siamo in presenza di una strategia di contrazione dei diritti, soprattutto una forte erosione degli spazi di libertà, una criminalizzazione di modalità pacifiche, non violente. L’esito probabile di questa strategia di criminalizzazione sarà un aumento della popolazione carceraria, in un periodo nel quale tutto ci vorrebbe meno che continuare a stivare persone in carcere, dove, come sappiamo, si vive malissimo e – molto spesso - ci si muore di malattie o per suicidio.
A questo quadro va aggiunto una sorta di accanimento terapeutico nei confronti dei migranti. Siamo un Paese che sta riducendo gli spazi di democrazia minando la Costituzione.
Il tema dei diritti delle persone migranti, richiedenti asilo e rifugiati sotto attacco è un tema sempre verde. Possiamo dire che il padre di questo attacco ai diritti delle persone migranti sia l'accordo Italia-Libia del ‘17. Poi da lì in avanti la criminalizzazione ha colpito Ong che fanno scelte di soccorso in mare, questo governo con una serie di decreti ha ulteriormente inasprito rendendo l'esternalizzazione una vera e propria politica, da ultimo con l’accordo con l'Albania, in precedenza con quello con la Tunisia. Questi sono i giorni del ricordo doloroso del naufragio di Cutro, su cui ci sono attività giudiziarie in corso; però rammento che subito dopo Cutro venne dichiarata la guerra agli scafisti lungo intero “globo terraqueo”, confondendo profondamente terminologia e geografia, perché le persone che organizzano i traffici di esseri umani stanno sulla terra ferma, spesso il governo ci fa accordi, non sono le persone che stanno sulle imbarcazioni. E siccome questa criminalizzazione ha prodotto dei casi stravolgenti, penso al processo terminato per fortuna doverosamente con una assoluzione di Maysoon Majidi, dobbiamo ricordare che poi questa ansia performativa di cercare scafisti ovunque ha prodotto – si stima – ben oltre mille situazioni di carcerazioni del tutto ingiustificate.
Se quello contro il quale stiamo protestando è un disegno di legge che non costruisce sicurezza, ma che riduce diritti e libertà, che cosa bisogna fare per costruire sicurezza per i cittadini e le cittadine italiane?
Innanzitutto occorrono investimenti. Sì, investimenti per costruire città più vivibili, con le strade illuminate, senza più quartieri ghetto, con servizi pubblici che funzionino H24. Investimenti per avere delle scuole che diano piacere nello starci e non siano considerate dei luoghi di punizione. Investimenti per politiche economiche e sociali che includano i più fragili. Dal 2001, da quei terribili infami attacchi alle Torri gemelle, si è affermata la narrazione che per avere più sicurezza occorre togliere i diritti. Noi sosteniamo che questa strategia è fallita: il senso di insicurezza riguarda ormai tutte e tutti, in più si tolgono i diritti, l'obiettivo è che nessuno si senta più al sicuro. Ciò riguarda ogni singola persona che vive in questo Paese, con particole accanimento nei confronti di persone già vulnerabili per conto loro, come le persone migranti, i richiedenti asilo, le rifugiate, le donne che subiscono violenza sessuale ormai quotidianamente. Per non parlare del tema della sicurezza del lavoro, della sanità che è diventato un lusso anziché un diritto, e potremmo proseguire.
Se per costruire sicurezza, quella vera, occorre costruire la possibilità che i diritti di cittadinanza, dall'istruzione alla salute, siano davvero esigibili, allora la stagione di mobilitazione che porterà il voto per i cinque referendum, quelli sul lavoro e quello sulla cittadinanza, può essere un'ulteriore tappa nella costruzione da un lato della partecipazione dal lato della riconquista di diritti, quindi più sicurezza?
La partecipazione popolare è sempre positiva: che si esprima nelle elezioni o si esprima attraverso il referendum è sempre un fatto positivo, non c'è dubbio.
Oggi di nuovo nelle diverse piazze italiane per riconquistare i diritti e libertà. Qual è il messaggio che lei vuole mandare?
Lo slogan che vive da diversi mesi è no al ddl sicurezza. Vorrei però metterla anche in positivo: sì a una sicurezza basata sui diritti e non il contrario.