“Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. È quanto sancisce il terzo comma dell’articolo 27 della Costituzione. Ma qual è la condizione di vita in carcere? Quali reali possibilità di rieducazione e di recupero sociale ci sono?

Il sistema è alle prese con criticità croniche quali sovraffollamento insostenibile, degrado strutturale, precarie condizioni igienico-sanitarie, mancanza di attività trattamentali, assenza di opportunità di lavoro e formazione, carenza di risorse e personale, spazi invivibili, condizioni spesso disumane e abbandono. Ma di questo il ministro Nordio sembra non volersene occupare.

Dai dati resi noti dal Garante nazionale delle persone private della libertà personale, a metà settembre nelle carceri italiane ci sono 62 mila detenuti, 15 mila in più rispetto ai posti disponibili, con un sovraffollamento medio del 132 per cento che arriva al 227 per cento nel carcere di S. Vittore di Milano, al 206 per cento nell’istituto penitenziario di Canton Mombello di Brescia, al 199 per cento in quello di Busto Arsizio (Milano), al 195 a Foggia, 190 a Taranto. Drammatico sovraffollamento anche nel carcere di Bologna (169 per cento), Lecce (160 per cento), Rebibbia (150 per cento), Santa Maria Capua Vetere (141 per cento), Secondigliano (127 per cento) e tanti altri.

Condizioni ai livelli record di 15 anni fa, che portarono la Corte europea dei diritti dell’uomo alla condanna dell’Italia per violazione dei diritti umani.

Carceri con molti reparti detentivi che applicano il regime delle “celle chiuse”, ovvero detenuti chiusi nelle proprie camere di pernottamento anche durante il giorno, con spazi individuali inferiori a 3-4 metri quadrati, dove spesso i bagni sono a vista.

Sin dal suo insediamento, il Governo Meloni ha intrapreso la strada dell’aumento delle fattispecie di reato e dell’inasprimento delle pene, pur in presenza della riduzione del numero dei reati commessi. Una politica securitaria espressione di un populismo penale, crudele e antistorico, destinata solo ad aggravare i nodi irrisolti del sistema penitenziario e ad accrescere tensioni e problemi.

Dal decreto rave al decreto Caivano, dal decreto Nordio all’ultimo, il disegno di legge Sicurezza appena approvato alla Camera, l’esecutivo Meloni ha battuto ogni record per nuovi reati introdotti e per l’inasprimento di pene per reati già previsti dal codice penale, come di recente quelli contro le manifestazioni o le occupazioni di immobili, arrivando a peggiorare il codice Rocco, con la non obbligatorietà del differimento della pena per le donne incinte e madri di bambini fino a un anno di età: disposizioni fortemente identitarie, alla ricerca di un facile consenso attraverso la gestione delle paure. Norme con cui si danno risposte penali a problemi che sono spesso e soprattutto sociali, e che non aumentano la sicurezza dei cittadini.

Populismo utile per i titoli dei giornali, dimenticando che il vero obiettivo non è prevedere un maggior ricorso al carcere, ma prevenirlo, renderlo un luogo adeguato alla funzione di rieducazione e recupero che gli è attribuita dalla Costituzione, mai di afflizione.

Le carceri sono piene di poveri, immigrati, tossicodipendenti, persone con sofferenza mentale. Luoghi di marginalità e disagio, vere e proprie discariche sociali, le cui condizioni sono davvero al limite, come conferma l’impressionante numero dei suicidi: dall’inizio dell’anno a oggi, 72 detenuti si sono tolti la vita in carcere. Numeri drammatici, il più alto degli ultimi 30 anni, 20 volte superiore a quello della popolazione in generale.

Ministro Nordio: quanti altri morti ancora si dovranno contare perché il governo cambi rotta? Quando verranno archiviati populismo penale e politica securitaria e promosse politiche e azioni di contrasto a marginalità, degrado, condizioni di disagio e povertà?

Quando si investirà davvero sul personale e su tutte le professionalità necessarie per garantire le attività trattamentali fondamentali per la rieducazione e il reinserimento sociale e quelle per garantire il fondamentale diritto alla salute?

Quando si ridurrà il numero dei detenuti ricorrendo a misure alternative, sanzioni sostitutive e misure di comunità, depenalizzazione dei reati minori e un minor ricorso alla carcerazione preventiva, indulto?

Quanto si dovrà aspettare, ministro Nordio? E quanti altri morti ancora?

Daniela Barbaresi, segretaria confederale Cgil