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Siamo tornati in campagna elettorale. Lampedusa scoppia di migranti e la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, dopo un lungo silenzio, atterra sull'isola siciliana, insieme alla presidente della Commissione europea Ursula Von der LEyen e alla commissaria Ue degli Affari Interni, Ilva Johansson. Una toccata e fuga, giusto per annunciare una serie di misure rigidissime che il governo è pronto a varare: “L'obiettivo sono i rimpatri, non la redistribuzione”. E ancora: cpr in ogni regione con mandato alla Difesa di individuare siti in ogni regione, aumento del periodo di trattenimento a 18 mesi, accelerazione delle procedure di espulsione, “ma per mamme e minori under 14 abbiamo in programma altre soluzioni”.
Sono serviti giorni di pressione da destra da parte di Salvini, prima che lo scorso 15 settembre la premier interrompesse con un video social la cena degli italiani per annunciare la sostanziale militarizzazione del fenomeno migratorio nel nostro Paese. Secondo quanto ha detto Meloni, infatti, la svolta sui migranti sarà durissima. Era evidentemente diventato troppo complicato tacere, quindi la presidente del consiglio ha deciso di esibirsi in uno spot a favore di telecamere per rimediare al fallimento della sua gestione degli sbarchi, frutto dei fallimentari accordi con Tunisia e Libia.
Meloni è infatti intervenuta quando il caos generato dal boom di arrivi sulla piccola isola siciliana era ormai troppo evidente. Lo stillicidio di numeri e le immagini che arrivano giorno dopo giorno da Lampedusa si sono evidentemente trasformate in una smentita concreta delle promesse elettorali del centrodestra. Addirittura il New York Times ha dedicato un articolo alla crisi, sottolineando “i limiti” dell’approccio adottato e il fatto che ora la premier si trova “in un dilemma simile a quello dei precedenti governi italiani”. È quindi arrivato anche l'annuncio di un consiglio dei ministri previsto per lunedì 18 settembre, in cui sarà messo all’ordine del giorno un pacchetto con “misure straordinarie per fare fronte al numero di sbarchi che abbiamo visto sulle nostre coste”.
Una delle novità sarà quindi l'allungamento del termine di trattenimento nei centri di permanenza per i rimpatri “di chi entra illegalmente in Italia”fino a 18 mesi, il massimo consentito dalla normativa europea. Una norma, che però, non può riguardare i richiedenti asilo, per i quali rimarrà di 12 mesi. Tra l'altro già nel 2011 il limite di 18 mesi di privazione della libertà per i migranti irregolari era stato messo in discussione da Amnesty International, che sottolineava quanto la misura fosse incompatibile con il diritto alla libertà sancito dalla Convenzione europea sui diritti umani e da altri strumenti del diritto internazionale, di cui l’Italia è Stato parte.
Meloni, però, non ha intenzione di andare per il sottile. Ha anche annunciato che verrà dato mandato alla Difesa di realizzare “nel più breve tempo possibile” nuove strutture per trattenere gli immigrati illegali". Le strutture dovranno essere costruite “in località a bassissima densità abitativa e facilmente perimetrabili e sorvegliabili”. I profughi saranno guardati a vista, insomma, prima di esser rispediti al mittente. Anche l'efficacia di questo giro di vite, però, resta in fortissimo dubbio. Gli ultimi anni ci hanno infatti insegnano quanto le operazioni di rimpatrio restino piuttosto complicate da mettere in pratica.
La premier, poi, è andata oltre. E ha deciso di recriminare ancora una volta con Bruxelles. Oltre a invitare Von der Leyen a Lampedusa ha chiesto al presidente del Consiglio Ue Charles Michel di “inserire all’ordine del giorno del consiglio di ottobre la questione migratoria”. In quel vertice, Meloni vuole ribadire il progetto di “avviare immediatamente una missione Ue per bloccare le partenze dei barconi”. Era uno dei cavalli di battaglia della campagna elettorale di Fratelli d'Italia alle ultime, vittoriose elezioni politiche. Una promessa evidentemente irrealizzabile, che torna in auge nel momento del bisogno.
È infatti evidente che il fronte scoperto resta il rapporto con gli altri paesi europei e gli accordi messi in piedi con i paesi nordafricani. La premier nel suo video è riuscita addirittura a elogiare se stessa per l’impegno in Libia, ma dopo migliaia di arrivi di non ha potuto far altro che ammettere che sulla Tunisia ci sono stati problemi. Ovviamente, anche in questo caso le colpe sono state scaricate sull'Europa: “Una parte dell’Ue si è mossa contro.”
“Il problema vero consiste invece nella ratio che sta dietro questo nuovo ipotetico pacchetto sicurezza – commenta Kurosh Danesh, dell'ufficio immigrazione della Cgil nazionale -. Perché, come diciamo da sempre, che la migrazione è un fenomeno sociale ed economico, quindi non ha nulla a che vedere con la sicurezza. In questo caso, poi, arriviamo a un limite, perché si sta parlando di una militarizzazione del fenomeno. Questo approccio non corrisponde a nessun tipo di politica a livello europeo e non si ritrova in nessun trattato internazionale. Anzi, in quell'annuncio vengono calpestati del tutto i principi di solidarietà e di accoglienza presenti in tutti trattati. Spero davvero che ci sia un ripensamento.”
La Cgil, afferma Danesh, continuerà in ogni caso la sua battaglia per una gestione dignitosa e solidaristica del fenomeno migratorio, e contro ogni azione muscolare: “La manifestazione del 7 ottobre a Roma, di cui siamo uno dei promotori, rivendica i principi costituzionali. Il tema delle migrazioni è ben dentro la piattaforma che abbiamo presentato, perché le politiche che il governo vuole mettere in campo non hanno nulla a che vedere con la nostra Costituzione”.