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In Puglia gli stranieri residenti sono 138.689, il 3,6 per cento della popolazione regionale, valore più basso di 5 punti rispetto al dato nazionale (8,6 per cento). “È normale che la presenza di stranieri nel Mezzogiorno sia inferiore rispetto al Centro e al Nord Italia, dove c’è più lavoro – spiega Azmi Jarjawi, responsabile del dipartimento immigrazione della Cgil pugliese -. Gli stranieri vengono qui per lavorare e sono impiegati soprattutto nei settori commercio e turismo. Il 23 per cento trova occupazione nell’agricoltura: la stragrande maggioranza è stagionale. Vengono dal Nord Africa, Marocco, Tunisia, Algeria. Oppure sono già presenti nel territorio e fanno il giro delle regioni: in Sicilia fanno la campagna degli agrumi, qui quelle dei pomodori, delle olive e dell’uva, in Emilia Romagna delle pere”.
La metà di loro sono senza permesso di soggiorno: in tanti lo chiedono, in pochissimi riescono a ottenerlo. L’anno scorso soltanto 185, a fronte di richieste da parte degli imprenditori molto maggiori.
“Solo nel foggiano c’era bisogno di 20 mila lavoratori, ma la quota destinata alla Puglia nel decreto flussi era molto inferiore – aggiunge Jarjawi -. Il fatto è che mentre gli imprenditori hanno necessità di manodopera nell’immediato, il decreto flussi, anche quando c’era, faceva una stima per l’anno successivo e al ribasso. Nel 2022 gli imprenditori italiani hanno chiesto 100 mila operai agricoli, 300 mila nel settore del turismo e della ristorazione, poi ci sono la logistica, le costruzioni, e così via. In tutte le regioni manca la manodopera ma non si trovano soluzioni”.
Risultato: chi non ha il permesso di soggiorno lavora in nero, senza tutele, senza diritti, senza contributi. E finisce nelle grinfie della criminalità: nessuno denuncia il caporale che dà lavoro, dà uno stipendio, consente di mandare soldi a casa, chi lo denuncia è fuori. Inoltre, senza documenti regolari non puoi prendere in affitto una casa o una stanza. E così vivi nelle baracche, nei ghetti, nei casolari abbandonati, sotto gli alberi.
“I migranti che lavorano nei campi rimangono invisibili, non possono versare i contributi, con un danno per lo Stato e per loro stessi, non hanno diritto a esistere, all’assistenza sanitaria, alla casa – dice ancora Jarjawi -. Per superare i ghetti con il Pnrr sono stati stanziati 200 milioni di euro, di cui 114 destinati alla Puglia”. Peccato che il Comune di Turi (Bari) abbia già rinunciato con una delibera a 4 milioni e 800 mila euro, e che i progetti presentati rischiano di non essere realizzati: lavori dovevano partire a giugno ma a oggi è tutto bloccato.
“In Italia si affronta il fenomeno migratorio in termini strettamente emergenziali e con approccio securitario - dice ancora Jarjawi -. Questo alimenta paure e xenofobie. C’è chi ha fatto carriera alimentando discriminazioni, sostenendo una legislazione sempre più repressiva e restrittiva, ma mai in grado di governare i flussi migratori. Si continuano a produrre presenze non regolari, a causa della debolezza dei meccanismi che dovrebbero favorire ingressi regolari e delle norme sulla cittadinanza. Con tante associazioni e organizzazioni in Puglia lavoriamo per l’integrazione, per una giusta accoglienza. Il tema è nell’agenda della Regione, ci sono tante cose da fare ancora, di sicuro noi ci proviamo”.