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I titoli, anche i titoli, occorre saperli leggere. Decodificare per comprendere. E allora “Mamme d’Italia”, che se letto o pronunciato senza porvi attenzione evoca imperativi di anni venti, ma di un altro secolo e millennio legati a stereotipi che chi ci governa vorrebbe rinverdire, è in realtà il titolo di un libro scritto apposta per svelare e confutare quegli stereotipi. Ma è anche molto, molto altro.
Monica D’Acenzio ed Manuela Perrone sono giornaliste de Il Sole 24 ore, sono madri per scelta e felici di esserlo. Sono donne che offrono le proprie esperienze e riflessioni alle altre per crescere insieme. “Mamme d’Italia” (edizioni Il Sole 24 ore) è la loro ultima felice fatica.
Il libro ha una caratteristica particolare: è tanti libri insieme ognuno quasi autonomo ma legato agli altri da un filo sottile e tenace, quel filo che tiene legate le donne a chi le ha precedute, a quante arrivano dopo di loro. E che le intreccia trasversalmente ad altre donne con le quali costruiscono genealogia, forza, saperi. Il volume prova a scoprire e raccontare “chi sono le mamme d’Italia, come stanno, cosa desiderano”.
Il primo libro di quelli che compongono il volume è “personale”, ed è trasversale a tutti gli altri. Basta leggere i titoli dei capitoli per comprenderlo: Scelta, Corpo, Mente, Coppia, Amicizia. E poi Lavoro, Diritti. Ma occorre non cadere nell’inganno: D’Ascenzo e Perrone non raccontano la propria singola esperienza di maternità, ma partendo da essa provano a descrivere quella delle altre donne.
L’intento è preciso e dichiarato. “Il sacrosanto rifiuto del mito della maternità non può e non deve trasformarsi nel suo opposto: il mito del rifiuto della maternità”. “Con questa convinzione - proseguono le autrici - abbiamo voluto raccontare e nominare, accostandoci alla maternità non come questione astratta, buona per divagazioni intellettuali e dispute ideologiche, ma come molto laica e concreta incarnazione delle mamme d’Italia”.
Il secondo libro è quello storico: racconta come è cambiato questo Paese, certo assai lentamente e forse non fino in fondo, ma certamente in maniera profonda. Per arrivare ad oggi: “Il risultato è un tentativo di fotografare, per forza parziale, dei 10,4 milioni di italiane che abitano questo Paese e hanno figli. Non importa nati come; importa nati. Un insieme di donne diverse, a cui si chiede di lavorare come se non fossero madri, pena l’espulsione dal mercato, di essere madri come se non lavorassero, pena lo stigma. E poi di essere nonne come se la massima e unica vocazione al tramonto dell’esistenza fosse quella di occuparsi dei figli dei figli”.
Il terzo libro è pieno di dati e informazioni. Numeri utilissimi a capire quanto è stato fatto e quanto ancora è necessario fare per consentire a ogni donna che desideri diventare madre di poterlo fare in piena libertà, serenità e anche con un pizzico di allegria che non guasta. Dati necessari a definire politiche pubbliche e strategie sindacali. Un grazie alle autrici che hanno saputo trovarli, organizzarli e renderli facilmente consultabili.
Infine, ma forse prima di tutto è un libro politico, in un’accezione precisa di questo termine. Quella di chi ritiene, come Monica D’Acenzio e Manuela Perrone, che la democrazia non sia un metodo ma lo spazio libero in cui si esprimono i cittadini e le cittadine. La democrazia non è solo governo del popolo, ma per il popolo.
Per Giorgia Meloni, Eugenia Roccella, forse anche per la Calderone, ma non vi è traccia del suo pensiero in proposito, e certamente per gli uomini della coalizione al governo, la maternità è un “fatto” privato ma utile a rendere forte e “virile” la patria. L’esser madre è “fatto” esclusivo delle donne che al massimo, per gentile concessione possono essere “aiutate” a conciliare quello di madre con altri ruoli che volessero svolgere, a cominciare da quello di lavoratrici. Non sarà, infatti, un caso, che nel famoso elenco con cui Meloni si è definita non compare affatto: “Sono una donna, sono una madre, sono italiana, sono cristiana”.
Se democrazia è anche lo spazio libero in cui si esprimono i cittadini e le cittadine, le autrici lo occupano pienamente. E il loro obiettivo dichiarato, e perseguito perfettamente, è quello di contribuire a sottrarre alla destra il discorso pubblico sulla maternità.
C’era un tempo in cui le donne si batterono per affermare il valore sociale della maternità, a sinistra - è il pensiero che attraversa l’opera - occorrerebbe avere il coraggio di riafferrare il discorso pubblico sulla maternità. Lo fanno certamente, e bene, D’Ascenzo e Perrone, ma non come esercizio stilistico e nemmeno come attività giornalistica, ma come impegno politico.
Nel volume ci sono tanti altri libri, a ciascuna e ciascuno dei lettori l’onere e il piacere di scoprirli. Importante però è che venga fatto leggere alle ragazze e ai ragazzi per far capire da dove veniamo, e dove potremmo andare. Dentro c'è un'idea di società e di ciò che vorremmo diventasse.