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Il 12 febbraio 1924 viene dato alle stampe a Milano, in Via Santa Maria alla Porta nei pressi di Corso Magenta, il primo numero de l’Unità. Il 31 ottobre del 1926 esce il suo ultimo numero legale (il 27 agosto 1927, nella francese sede di Rue d’Austerlitz, viene dato alle stampe il primo numero dell’edizione clandestina. Il giornale uscirà dalla clandestinità, dopo quasi vent’anni, il 2 gennaio 1945).
Ne l’Unità, scriveva nel febbraio 2018 Pietro Spataro “corre la storia del Novecento: il fascismo e il nazismo, le violenze e l’Olocausto, la clandestinità, la morte di Gramsci, la Resistenza, l’Italia repubblicana, la Russia sovietica, le battaglie degli anni Sessanta, i grandi balzi in avanti degli anni Settanta, il terrorismo, l’arrivo di Enrico Berlinguer e lo strappo da Mosca, la sua morte a Padova, il crollo del muro di Berlino, lo scioglimento del Pci e la nascita dell’Ulivo e poi quella travagliata del Pd. l’Unità ha attraversato tutte queste fasi, nel bene e nel male. È stato un giornale nazionale, uno strumento di battaglia politica, un binocolo attraverso il quale guardare il mondo, un dizionario dei conflitti sociali, un orgoglioso status symbol. ‘E alcuni audaci in tasca l’Unità’, cantava Francesco Guccini in Eskimo per raccontare il coraggio che ci voleva in certi momenti ad andare in giro con quella testata bene in vista nella tasca”.
“L’Unità - raccontava Pietro Ingrao - dai lettori veniva conservata. E si poteva leggere all’alba, ancora assonnati, sul seggiolino di un autobus, oppure a tarda sera, tra un boccone e l’altro della cena prima di andare alla riunione di sezione, o anche a letto, sull’orlo del sonno. Oppure mettere da parte, conservare questo o quel numero, che poi non sarebbe stato letto mai, dimenticato tra i fasci di carte di un armadio: questa natura curiosa di un giornale quotidiano, che durava al di là del giorno”. Un giornale quotidiano che durava al di là del giorno, ma che non sopravviverà.
Nel 1998 la società editrice (dal 1994 L’Arca, controllata dal Pds) diventerà una società per azioni (L’Unità editrice multimediale S.p.A.) e nel 2000 sospenderà le pubblicazioni. Grazie alla sottoscrizione di un gruppo di azionisti il giornale tornerà in edicola nell’aprile 2001 edito da Nuova iniziativa editoriale. Dal primo agosto del 2014 sospenderà nuovamente le pubblicazioni, riprese il 30 giugno dell’anno successivo con un nuovo assetto societario de L’Unità Srl. Nel giugno del 2017 per la terza volta, le pubblicazioni saranno sospese e dopo il pignoramento la testata andrà all’asta - poi sospesa - in vendita per 300 mila euro (l’annuncio sarà stato pubblicato sul sito ufficiale dell’Istituto vendite giudiziarie di Roma in mezzo tra un “Lotto unico di bottiglie di vino e birra, attrezzature e arredamento per bar” e una “Lampada infrarossi per essiccare vernici marca Infrarr Technologic star”).
“Chi avrebbe mai immaginato che una testata così bella e importante finisse all’asta? - scriveva Pietro Spataro - Chi avrebbe mai immaginato che quel nome così forte - l’Unità - che per molti è stata un simbolo di lotta e di riscatto, un nome da esibire in faccia ai prepotenti, da difendere dagli attacchi, da far circolare durante la clandestinità sotto il fascismo o da mostrare durante le manifestazioni facesse questa fine? Eppure è accaduto”.
“Ci sono storie che non dovrebbero finire - scriveva l’Assemblea dei redattori e delle redattrici del quotidiano annunciando la fine delle pubblicazioni -, per la storia che hanno raccontato e testimoniato, per quella che hanno cercato di capire, per chi ci ha creduto, per chi ci ha messo passione, professionalità e attaccamento. Questa storia, la nostra, hanno deciso di chiuderla nel modo peggiore, calpestando diritti, calpestando lo stesso nome che porta questa testata, ciò che ha rappresentato e ciò che avrebbe potuto rappresentare. Le storie possono essere scritte in tanti modi. Per noi hanno scelto il peggiore”.
Al peggio non c’è mai fine raccontano i saggi e infatti il 25 maggio 2019 il quotidiano tornerà in edicola per un solo giorno, pubblicando un numero per evitare la decadenza della testata. A mettere la firma sotto quell’ultimo numero sarà Maurizio Belpietro. “Non è un’avvilente vicenda editoriale - tuonava dalla colonne di Strisciarossa Bruno Ugolini - è un atto di guerra nei confronti della storia, della cultura della sinistra. Questo rappresenta la nomina a direttore de “l’Unità”, quotidiano fondato da Antonio Gramsci, di Maurizio Belpietro. È anche uno sputo in faccia a quanti hanno, in questi complicati anni, mantenuto una qualche fiducia sulla possibilità di mantenere in vita valori, idee, speranze. Non puntando a un immaginifico 'sol dell’avvenire' ma a un mondo di liberi ed eguali, guidato dai dettami della Costituzione”.
“Caro Belpietro - scriveva Andrea Malpassi - pensi di essere furbo, facendo per un giorno il direttore de l’Unità? (…) Usi la tua firma come una “macchia di fango”, come uno “sberleffo”: vorresti umiliare, deprimere, far sentire impotente quella parte di popolo che proprio in questi giorni - davanti all’arroganza sfacciata di chi è al potere comincia a riconoscersi, a risvegliarsi, a reagire. Nei porti e nelle piazze, nelle scuole e nelle fabbriche, anche sui propri balconi. Non ti racconterò la storia de l’Unità, del suo fondatore, delle meravigliose firme che hanno dato vita a quel giornale straordinario. Non ti racconterò dell’orgoglio di un operaio che si sentiva più forte, davanti al padrone, se aveva in tasca l’Unità; né di un ragazzino che ha imparato a guardare il mondo grazie alle parole di Gianni Rodari; né dei festival, dove lavoratori e politici e intellettuali si incontravano per dare vita a quella meravigliosa intelligenza collettiva che è stata l’Unità. Ti dirò solo una semplice banalità: la tua firma, su quel giornale, passerà. Resterà come uno sgradevole ricordo, un altro brutto scherzo di questi brutti tempi”.
Tempi brutti, tempi difficili che però ci hanno visto - tutte e tutti insieme - lottare per quello in cui crediamo, quello in cui abbiamo sempre creduto. Perché in fondo aveva ragione il poeta: “dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior”.