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Nonostante Svimez, Banca d’Italia, sindacati, presidenti di Regione e sindaci – oltre che tante associazioni di cittadini e cittadine – abbiano espresso critiche e preoccupazioni, il ministro Calderoli, la Lega e – seppur ob torto collo – gli altri partiti della maggioranza vanno diritti per la loro strada e portano in Aula a Montecitorio il testo dell’autonomia differenziata.
Un disegno di legge snello, sono solo 11 articoli, che però saranno una iattura da diversi punti di vista. Soprattutto spaccheranno l’Italia: da un lato le regioni ricche e dall’altro le altre. Non solo, si rischia la fine del contratto collettivo nazionale almeno in alcuni settori e l’allontanamento dalle grandi reti europee. Che senso ha infatti devolvere alle singole Regioni le politiche industriali ed energetiche, ad esempio, quando ormai la dimensione delle stesse non può che essere almeno europea?
Cosa prevede la norma
È un disegno di legge governativo, di tipo procedurale che serve a dare attuazione all’articolo 119 della Costituzione. Gli 11 articoli del testo definiscono le procedure per dare attuazione al terzo comma. Poca roba, si dirà, e invece proprio nel definire le procure si nasconde la volontà di differenziare territorio da territorio.
Le materie
Innanzitutto, cosa potranno fare le Regioni? Sono ben 23 le materie che potranno essere devolute completamente alle Regioni: rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni; commercio con l’estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; previdenza complementare e integrativa; coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale; organizzazione della giustizia di pace; norme generali sull’istruzione e la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.
Diritti e Lep
L’articolo 3 del testo Calderoli assegna al governo 24 mesi di tempo per produrre un disegno di legge delega per definire i Livelli essenziali delle prestazioni sociali. È bene ricordare che all’inizio dell’iter parlamentare del Ddl fu insediata una commissione che avrebbe dovuto definire proprio i Lep. Commissione che non è riuscita ad adempiere al proprio compito, vista la quantità di risorse che sarebbero state necessarie a garantire uguali diritti in tutti i territori.
Si prende tempo
Il disegno di legge, allora, prevede che il trasferimento delle funzioni attinenti a materie Lep, lo dice l’articolo 4, con le relative risorse umane, strumentali e finanziarie, sarà successivo all’approvazione della delega sui Lep che dovrà contenere i relativi costi standard. Sempre il testo prevede che qualora si scoprisse che definendo i Lep aumentassero gli oneri a carico della finanza pubblica, per procedere al trasferimento delle materie si dovrà aspettare l'entrata in vigore dei provvedimenti legislativi di stanziamento delle necessarie risorse finanziarie.
E le materie non sottoposte ai Lep?
Scritta la norma trovato l’inganno. L’autonomia sulle materie non subordinate ai Lep parte subito, le risorse verranno assegnate sulla base della spesa storica, i fondi per la riduzione dei divari sono stati svuotati dal governo Meloni e il risultato sarà – nella malaugurata ipotesi che il Dl Calderoli entrasse in vigore – uno solo: si fotograferanno i divari tra territori e, nella migliore delle ipotesi, verranno perpetuati, nella peggiore e più probabile i divari non potranno che amplificarsi.
Iter vero e proprio
Le singole Regioni, sentiti gli enti locali, potranno chiedere al governo le materie sulle quali vogliono avere autonomia e competenza esclusiva. Governo e Regioni, dall’inizio dell’iter, avranno 5 mesi di tempo per definire le intese esautorando completamente il Parlamento. Le intese dovranno anche indicare per quanti anni rimarranno in vigore, in ogni caso la legge dice non più di 10, poi andranno ricontrattate. Se le si vorrà far terminare prima di quanto definito, la Regione dovrà dare un preavviso di 12 mesi. Cosa potrebbe succedere? La Lombardia – ad esempio – potrebbe chiedere energia, beni culturali e sport. Il Piemonte porti, aeroporti e grandi reti di trasporto ecc. Nascerebbe così una repubblica arlecchino.
Colpiti non solo i cittadini ma anche i lavoratori
Una volta definite le intese il governo assegnerà alle Regioni anche il personale afferente alle materie richieste. Una domanda sorge spontanea: che fine farà il contratto collettivo nazionale di lavoro? Il Veneto potrebbe decidere di retribuire in maniera differente dal Friuli Venezia Giulia gli insegnati e gli infermieri. E i lavoratori del porto di Genova avranno stessi diritti, stessi doveri e stesso salario di quelli del porto di Napoli?
Cgil nettamente contraria
“Il Ddl Calderoli è approdato in Aula alla Camera dopo gravi forzature in commissione da parte della maggioranza di governo che sta, di fatto, comprimendo il dibattito parlamentare ed evitando qualsiasi confronto”. Lo afferma, in una nota, il segretario confederale della Cgil Christian Ferrari. “Da questo atteggiamento si potrebbe desumere – sottolinea il dirigente sindacale – l’intenzione di arrivare, nel giro di pochi giorni, all’approvazione definitiva. Ma non c’è alcuna certezza in proposito e, secondo molti, il voto finale slitterà a dopo le elezioni europee”.
Per Ferrari “è una contraddizione solo apparente. Infatti, a consigliare prudenza nella tempistica è il timore di allarmare gli elettori delle Regioni meridionali. Potremmo quindi assistere alla replica di quanto avvenuto con il Documento di economia e finanza, privo di quadro programmatico. In entrambi i casi, evidentemente, si vogliono rimandare le cattive notizie a dopo il voto”.
Il prossimo 25 maggio a Napoli
“E non c’è dubbio – aggiunge il dirigente Cgil – che il progetto di dividere l’Italia in tante piccole patrie, tenute insieme dall’uomo o dalla donna sola al comando (esito del combinato disposto autonomia/premierato), se diventasse realtà, sarebbe una pessima notizia. E non solo per il Sud, ma per l’intero Paese”.
Per il segretario confederale: “Meno partecipazione e democrazia, una verticalizzazione del potere senza precedenti, messa in discussione di due pilastri dell’unità nazionale come la scuola pubblica e il contratto nazionale di lavoro, nessuna possibilità di adottare politiche industriali e di coesione nazionale, aumento delle diseguaglianze sociali e dei divari territoriali: potrebbe essere ancora più lungo l’elenco dei rischi che corrono le persone che rappresentiamo."
Per questo "continueremo a contrastare queste vere e proprie controriforme istituzionali, che mirano a cancellare la Repubblica parlamentare e la Costituzione nata dalla Resistenza e fondata sul lavoro. E lo faremo – conclude Ferrari – con la grande manifestazione nazionale del prossimo 25 maggio a Napoli, insieme a ‘La Via Maestra’, e utilizzando tutti gli strumenti democratici che abbiamo a disposizione”.