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“Diminuzione della ricchezza, povertà e depauperamento produttivo sono gli effetti dell’economia sommersa e di quella illegale sul nostro Paese e sulla vita degli italiani, altro che contributo al Pil”. Gianna Fracassi e Giuseppe Massafra, segretari confederali della Cgil, commentano così l'ultimo rapporto Istat sull’economia non osservata, che offre – dicono i due sindacalisti Cgil – “un quadro sconfortante”.
“Abbiamo assistito, dal 2014 al 2017 – sottolineano i due dirigenti sindacali – a un aumento costante del fenomeno, tanto che nel 2017 abbiamo registrato una crescita dell'1,5%, rispetto all’anno precedente, con un valore assoluto di ben 211 miliardi di euro. È una magra consolazione registrare che l’incidenza dell’economia non osservata sul Pil si sia leggermente ridotta dal 13% del 2014 al 12,1% del 2017, se poi assistiamo all’aumento delle unità di lavoro irregolari +700 mila dal 2007 ad oggi”.
“Il 41,7% del sommerso – aggiungono Fracassi e Massafra – si verifica nel settore del commercio, trasporti e magazzinaggio, attività di alloggio e ristorazione, dove si genera il 21,4% del valore aggiunto totale. Questa concentrazione sottolinea l’importanza di spingere l’acceleratore verso l’incrocio automatico delle banche dati”.
“Inserire l’economia illegale nel calcolo della ricchezza prodotta è profondamente sbagliato, in quanto – spiegano Fracassi e Massafra – quei proventi vanno a ingrossare esclusivamente le tasche delle mafie senza produrre alcun aumento dei redditi delle imprese e dei cittadini e senza rispondere agli stimoli della politica economica come l’economia sana”.
Inoltre, proseguono i due segretari confederali, “quei proventi, realizzati da attività illegali, non generano in alcun modo benessere, ma vengono invece a loro volta utilizzati dalle mafie per ulteriori attività illegali, che, funzionali alla ripulitura di quel danaro sporco, uccidono imprese sane, introducono elementi di concorrenza sleale e deprimono lo sviluppo e l’occupazione. La sola penetrazione della ’ndrangheta nell’economia delle regioni del Centro-Nord ha prodotto – ricordano in conclusione Fracassi e Massafra – una perdita secca del lavoro del 28%, tra il 1971 e il 2011”.