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Negli ultimi mesi si è molto parlato di linguaggio, specialmente da quando diverse rappresentanti del nuovo governo gialloverde hanno dichiarato di non gradire la desinenza adattata al genere. Tra tutte Giulia Bongiorno, che ci tiene molto a sottolineare di essere ministro della Pubblica amministrazione e non ministra. “Ho molto combattuto per essere chiamata avvocato nella professione – ha precisato in un’intervista Bongiorno – perché credo che i ruoli non vadano al maschile o al femminile”. Per qualcuno la questione potrebbe essere derubricata come una poco importante disquisizione di forma e non di sostanza. Ma non è così. Oggi più che mai la difesa di un lessico di genere significa riconoscere spazio e specificità a tutte le donne. Declinare le parole al femminile non è affatto un vezzo, al contrario è un preciso atto di rivendicazione di diritti e di pari opportunità in una società che ancora non ha fatto i conti con il patriarcato.
I casi di cronaca di donne uccise rappresentano il drammatico termometro di un sistema che non protegge chi chiede aiuto. In media, ogni 72 ore in Italia una donna viene uccisa e il delitto avviene per mano di un uomo, spesso ex partner, parente o conoscente. Nel 2018 sono state oltre 90 le vittime. Più altre 7 donne uccise dall’inizio del 2019, come si legge nel sito In Quanto Donna, che raccoglie tutte le notizie di femminicidi in Italia e riporta come vengono raccontati dagli organi di informazione. In una nota congiunta di Cgil, Cisl, Uil, Rete DiRe, Udi e Telefono Rosa, lo scorso 29 dicembre era stato lanciato un appello per richiedere un intervento sistemico e prioritario nell’agenda di governo per frenare la quotidiana strage di donne. Una denuncia forte: troppo superficiale l’attenzione politica su questo fenomeno e inosservate le normative internazionali in materia. Rispetto alla Convenzione di Istanbul e alla sua attuazione in Italia, pochi giorni fa è stato presentato a Roma il Rapporto ombra delle associazioni di donne per il Grevio, il gruppo di esperte sulla violenza contro le donne del Consiglio d’Europa.
Il recente caso di dimezzamento della pena, in secondo grado, per Michele Castaldo, omicida di Olga Matei, deve far riflettere per le parole pronunciate nelle motivazioni della sentenza. Si è detto gelosia provocata da “tempesta emotiva e passionale”, un’espressione che nega giustizia non solo a Olga, ma a tutte le donne che hanno subìto violenza. Frasi pesanti come pietre, che a Bologna hanno determinato la protesta delle rete delle donne, scese in piazza proprio sotto la sede della Corte d’Appello. Il caso è stato commentato anche da Paola Di Nicola, giudice penale del Tribunale di Roma e autrice del libro “La mia parola contro la sua”. “Lo stereotipo e il pregiudizio esistono anche nella aule giudiziarie – ha detto la magistrata – e le tante sentenze di assoluzione nei casi di violenza di genere dimostrano che non c’è un’adeguata risposta giudiziaria. Spesso le donne muoiono perché non credute”. Il lessico, dunque, è importante eccome.
Consapevoli di questa inoppugnabile verità, alla Cgil Liguria hanno deciso di mettere tra i temi al centro di un articolato corso di formazione diretto al proprio gruppo dirigente maschile, avviato nel mese di marzo del 2018 e ora esteso anche ad altre Camere del lavoro in tutta Italia, proprio il linguaggio di genere.