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È notizia recente l’approvazione, a maggioranza, del progetto di autonomia regionale da parte della Conferenza delle regioni. Nel dibattito politico che ne è seguito ha suscitato scalpore il sostegno al disegno di legge da parte di alcuni presidenti di regioni meridionali, tra i quali il presidente della Sicilia Renato Schifani.
Tralasciamo in questa sede ogni considerazione riguardo alle potenziali conseguenze su diritti fondamentali quali salute e istruzione se il disegno di legge sarà approvato, ma non è possibile ignorare come, sotto questo profilo, il provvedimento metta in discussione il principio di uguaglianza dei cittadini sancito dalla nostra Costituzione. Tralasciamo, inoltre, ogni considerazione sulla propensione all'ascarismo da parte di gruppi dirigenti meridionali (e siciliani), non solo di destra, che pur di accreditarsi e farsi cooptare dal potere di turno, non esitano a sostenere misure che danneggiano il Mezzogiorno.
Proveremo, invece, a ragionare sul perché sia errato e contraddittorio sostenere e perseguire un’idea di Paese egoistica, che caratterizza parte dei gruppi dirigenti delle regioni italiane più ricche e sviluppate dal punto di vista infrastrutturale e produttivo. Un’idea di gestione territoriale sempre più autonoma e meno solidale, rispetto all’idea, alla prospettiva, alla comune esigenza di realizzare una Ue più coesa e solidale.
Ue tra pregi e difetti
L'Unione europea ha commesso molti sbagli e ha innumerevoli difetti, soprattutto nei limiti dei meccanismi di funzionamento unanimistici, a partire dalla lentezza estenuante dei processi decisionali, e dell'altalenante propensione alla solidarietà tra i Paesi membri. Ma ha comunque assicurato, ben oltre la semplice affermazione dei principi costitutivi, prospettive di crescita e sviluppo maggiori rispetto al peso e alla facoltà dei singoli Stati.
Ha saputo mostrare anche momenti convincenti di solidarietà e capacità di affrontare le sfide della modernità, come avvenuto con la risposta alla pandemia da Covid-19, dove sono state messe da parte le politiche di austerità, fino ad allora seguite, e sono state adottate politiche solidali. Per la prima volta si è ricorso al debito comune per affrontare le conseguenze di un evento che non colpiva tutti con la medesima intensità. L'Italia ha beneficiato molto di quelle misure solidali, perché il debito comune è stato destinato, finanziando i Pnrr, a sostenere maggiormente i Paesi più colpiti dalle conseguenze della pandemia.
Ancora, senza una forte spinta da parte della Commissione e del Parlamento Ue, il contrasto ai cambiamenti climatici attraverso la riduzione delle emissioni di carbonio, con il progressivo abbandono dei combustibili fossili e il passaggio alle fonti rinnovabili, la transizione green, sarebbero ancora oggi al palo.
La rivoluzione verde e il futuro
Proprio il progressivo abbandono dei combustibili fossili e la rivoluzione verde pongono al Mezzogiorno, ancora una volta, il tema del proprio futuro. Ci sono diversi aspetti che interesseranno la Sicilia in questa profonda ed epocale trasformazione: la significativa presenza di impianti di raffinazione che saranno dismessi anche per altre ragioni, impianti petrolchimici che seguiranno la medesima sorte, con il notevole contributo di queste realtà produttive all’occupazione nell'isola, anche in termini di entrate fiscali; la posizione geografica al centro del Mediterraneo per gli aspetti di connessione con Paesi delle sponde sud e orientale, come Marocco, Algeria, Libia, Egitto; le enormi potenzialità in termini di energie rinnovabili, come solare ed eolico (onshore e offshore), sia per la produzione diretta, che per la produzione di idrogeno, ma anche per la conversione della chimica tradizionale in chimica verde.
Sicilia hub del gas
Le conseguenze dell'invasione dell'Ucraina da parte della Federazione Russa e l’irreversibile sganciamento dell’Europa dalle forniture di gas dalla Russia (che arrivava quindi da nord) e la necessità di rifornirsi, almeno nel periodo della transizione che durerà alcuni decenni, del gas che arriverà da sud (sia attraverso i gasdotti esistenti, sia sotto forma di Gnl), rende la Sicilia candidato naturale, anche se non necessariamente l’unico, a diventare l'hub del gas. Non solo per l'Italia, ma per l'intera Unione.
L’infrastruttura necessaria per questa inversione di flussi dovrà essere realizzata (o adeguata) tenendo conto del progressivo impiego di idrogeno verde che, in prospettiva, sostituirà il gas metano, anche se probabilmente in percentuali inferiori, nel mix energetico del futuro di molti Stati europei, per diversi processi produttivi (soprattutto quelli hard to abate), nel trasporto pesante, ma anche quale stoccaggio, quindi come energia rinnovabile affidabile e programmabile.
Transizione verde ed economica
In questa trasformazione non bisogna trascurare il processo che coinvolgerà la transizione verso la chimica verde e le potenzialità espresse dalla realizzazione nel nostro Paese anche delle intere filiere produttive di tutti questi settori: pannelli fotovoltaici, pale eoliche, elettrolizzatori, solo per citare i più noti.
Attuare questa transizione dell'economia, cogliendo appieno il portato delle potenzialità espresse, costituisce la differenza tra la semplice dismissione delle attività del passato, cioè le fossili, con gli indubbi vantaggi ambientali e con le significative conseguenze occupazionali ed economiche. Oppure attraverso la loro riconversione (e bonifica delle aree!) in attività produttive sia energetiche che manifatturiere, rinnovabili e green, con la creazione di nuova occupazione, nuove attività economiche sostenibili e l’occasione di un futuro anche per le nuove generazioni.
Colmare i divari
Ovviamente per provare a cogliere queste potenzialità è necessario che funzionino molte cose: che la transizione sia programmata, progettata e gestita; che le molte risorse disponibili non vengano dirottate altrove e siano utilizzate bene; che si sappiano orientare i principali player italiani del settore, e relativa capacità di investire, in questa direzione. Ma è necessario, soprattutto, colmare il gap infrastrutturale della Sicilia e del Mezzogiorno.
L’obiettivo di ridurre, anzi di colmare, i divari territoriali è tra gli obiettivi prioritari assegnati dalla Ue nel Next Generation Eu ed è stato conseguentemente recepito nel Pnrr, tanto da assegnare al Mezzogiorno il 40 per cento delle risorse complessive. Il primo problema che si pone per il Sud sarà la difficoltà per queste regioni (difficoltà storiche nella capacità di programmazione e spesa dei fondi di coesione) di programmare, progettare e spendere le risorse, con il serio rischio per come è scritto il Pnrr, di perderle a vantaggio di altri territori.
Ostacoli alle sfide
Il secondo problema è l’eccessiva frammentazione dei progetti in troppi rivoli, senza un’idea unitaria e strategica per l’intero Paese della infrastrutturazione, materiale e immateriale, necessaria per affrontare le sfide attuali e future.
Un terzo problema è la assenza nella pubblica amministrazione di personale qualificato sufficiente e di idonei percorsi di formazione e qualificazione su questi temi, competenze indispensabili per affrontare una sfida così importante in tempi così brevi. Ciò anche a causa di un maggiore impatto del blocco del turnover e del taglio, nei decenni scorsi, delle risorse correnti proprio a danno del Mezzogiorno.
Questi problemi rischiano di compromettere la capacità di affrontare le sfide delle transizioni digitale e green e di sprecare l’occasione del Next Generation. Tale rischio può essere scongiurato se l’intero sistema Paese lavora in modo da superare i limiti e accetta di pensare come un Paese coeso, membro di una Unione europea unita e solidale.
Se la Sicilia non saprà o non potrà sviluppare queste potenzialità, non sarà soltanto l'isola a perdere un'occasione, ma ne soffrirà l'Italia intera, perché perderemo l’opportunità di intercettare l'economia del futuro.
Autonomia in direzione opposta
Il disegno di legge sull'autonomia differenziata rischia di rendere ancora più arduo, se non irraggiungibile, questo obiettivo, anzi, rischia di andare nella direzione esattamente opposta. Quel disegno di legge, se approvato, accrescerà disuguaglianze sociali, già esistenti, nei diritti fondamentali, ma rischia anche di causare un ulteriore impoverimento produttivo, se non la desertificazione, del nostro territorio. E di produrre danni per l’intero Paese.
Il disegno di legge, infatti, consente alle regioni a statuto ordinario di poter ottenere “l'attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” non solo su sanità e istruzione, cosa già grave in sé, ma anche, tra le altre, su materie quali: ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi, porti e aeroporti civili, grandi reti di trasporto e di navigazione, produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia, tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali.
L’egoismo delle piccole patrie
Se sarà approvato e se alcune regioni più ricche chiederanno e otterranno, come negli obiettivi della norma, maggiore autonomia e quote di risorse statali, potrebbe diventare molto più difficile una gestione unitaria di quelle materie, con conseguenze facilmente immaginabili in termini di economia di scala e interesse generale. Non è l’egoismo delle regioni, delle piccole patrie, che produrrà più benessere per tutti.
Con i processi di trasformazione della globalizzazione, di disaccoppiamento delle catene di fornitura tra oriente e occidente, con la progressiva polarizzazione tra Usa e Cina, l’unica speranza per i Paesi europei, poveri di materie prime strategiche ma ricchi di saperi e competenze manifatturiere umane e industriali, è quella di una Unione sempre più coesa e solidale, capace di anticipare il cambiamento e leader nelle tecnologie dell'economia green.
È una sfida da far tremare i polsi, ci sono tantissime cose da fare e da far andare per il verso giusto, ma non abbiamo un'altra strada.
Lillo Oceano, responsabile del dipartimento politiche europee e internazionali Filctem Cgil nazionale
Giacomo Rota, segretario generale Filctem Cgil Sicilia