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Ci sono voluti undici anni. Alla fine, 16 luglio scorso, si è però arrivati a un primo e non certo del tutto soddisfacente epilogo. Il giudice Luigi Tirone ha letto la sentenza di primo grado nel Tribunale di Velletri, condannando Carlo Gentile, direttore dello stabilimento industriale Caffaro di Colleferro dal 2001 al 2005. La sentenza: due anni di reclusione per il reato di disastro ambientale innominato (pena sospesa), risarcimento dei danni alle parti civili e pagamento delle spese processuali
Il processo
Il processo per reati ambientali della Valle del Sacco, la lunga striscia di terra punteggiata da capannoni industriali tra la provincia di Frosinone e Roma, si era aperto nel lontano 20o9, e ora continuerà in sede civile. Ha avuto una vita accidentata, piena di stop burocratici e ripartenze da zero, ed è scampato alla prescrizione solo grazie alla Corte Costituzionale. Riguarda lo sversamento del betaesaclorocicloesano, il Beta-Hch, un sottoprodotto del lindano, un pesticida molto usato in agricoltura in passato e definitivamente vietato in Italia dal 2001. Nel processo sono stati assolti per non avere commesso il fatto Giovanni Paravani e Renzo Crosiarol, rappresentante legale e direttore tecnico del Consorzio Servizi Colleferro (Csc), l’azienda che gestiva lo scarico finale del collettore generale delle acque industriali. È stato assolto anche Giuseppe Zulli, l’ex direttore della Centrale del Latte di Roma.
I fatti
Gli atti processuali, però, parlano chiaro. Per quasi cinquant’anni, il lindano prodotto negli stabilimenti della Caffaro è stato sversato nel Fosso Cupo, un piccolo affluente del Sacco nel territorio di Colleferro. Da qui è passato nel fiume, contaminando poi le falde acquifere, i terreni e, attraverso la catena alimentare, le persone. L’interesse sulla Valle però, è arrivato solo tardi, nel 2005, quando 25 vacche vennero ritrovate morte stecchite sulla riva del rio Santa Maria, un ruscello poco più a sud,nel territorio di Anagni. In quel caso non si trattava di lindano, ma di cianuro. Ed era stato uno sversamento isolato ad ammazzare le enormi bestie. Eppure quelle immagini spettacolari fecero il giro del mondo, e misero sotto la luce dei riflettori della stampa nazionale ed internazionale l’inquinamento decennale del territorio.
Una manciata di mesi prima, però, ci si era già accorti che qualcosa nona andava. Un controllo aveva rilevato che il latte prodotto in una fattoria vicino Gavignano, poco più in là, conteneva il betaesaclorocicloesano, trovato anche nel formaggio e nel latte di altre 36 aziende agricole nei dintorni. Il latte prodotto da queste parti veniva acquistato dalla Centrale del latte di Roma, e da lì distribuito ovunque. I controlli e le indagini avviate dalla Regione Lazio, così, fecero risalire gli investigatori fino al Fosso Cupo, vicino alla Caffaro. A maggio dello stesso anno il governo dichiarò lo stato di emergenza socio-ambientale, e istituì il Sito di bonifica di interesse nazionale. Il terzo più esteso in Italia.
Danno biologico
Uno dei danni maggiori per questo territorio violentato dal'industria riguarda le conseguenze del betaesaclorocicloesano sulla salute degli abitanti. Un primo monitoraggio epidemiologico sulla popolazione è stato realizzato già nel 2006. La Regione Lazio, spinta dall'onda emotiva e informativa, avviò il progetto “Salute della popolazione nell’area della Valle del Sacco” coordinato dal Servizio sanitario regionale. Le indagini hanno evidenziato un aumento della concentrazione di Beta-Hch all’aumentare dell’età per i residenti entro un chilometro dal fiume. Ma gli effetti sulla salute dei cittadini non sono neanche oggi molto chiari. Le timidissime conclusioni della prima fase di monitoraggio suonavano più o meno così: “L’estensione e i livelli della contaminazione sono ancora oggi poco documentabili”. L’eccesso di alcune malattie “è di controversa interpretazione”, bisognava dunque “continuare la sorveglianza sanitaria ed epidemiologica per questa popolazione”. Tradotto: i dati ci sono e dicono che qualcosa di grave è successo, ma non ne sappiamo ancora abbastanza. Meglio approfondire.
Una cosa gli studiosi la scoprrirono, però: sicuramente il lindano attacca principalmente il sistema nervoso, il fegato e i reni dell'uomo e con ogni probabilità è anche un agente cancerogeno e perturbatore endocrinale. I suoi effetti, in ogni caso, non sono ancora del tutto chiari. Nel 2009 la Regione ha quindi avviato il programma “Sorveglianza sanitaria ed epidemiologica della popolazione residente in prossimità del fiume Sacco”. Due rapporti successivi al 2012, evidenziavano livelli di persistenza che rimanevano alti nel tempo, per la popolazione presa in esame e “l’aumento dei casi di tumore alla pleura, ai polmoni, allo stomaco, oltre a un incremento di patologie legate alla tiroide e di casi di diabete”. Ancora oggi un gruppo di ricercatori dell’Università di Roma “La Sapienza” sta studiando gli effetti sulle cellule provocati dal betaesaclorocicloesano. La letteratura scientifica, in ogni caso, resta tuttora insufficiente. Finora, non era mai successo che il lindano contaminasse così tante persone. Gli abitanti della Valle sono tuttora sotto osservazione. Cavie, insomma. Da studiare.
Prima della sentenza del luglio 2020 si è infine aggiunto un altro tassello in questa storia. Nel marzo 2019, l'allora ministro dell’Ambiente Costa e il presidente della Regione Zingaretti hanno firmato un accordo per la bonifica del Sin con un finanziamento di 53,6 milioni di euro. A ottobre dello stesso anno sono iniziate le prime bonifiche nella zona di Colleferro per iniziare a risanare un ettaro e mezzo di territorio inquinato. Una porzione minima di un territorio che ancora aspetta giustizia.
Voci dalla Valle del Sacco