In Italia si fa poca ricerca, e a farla sono soprattutto le imprese private, mentre le istituzioni pubbliche continuano a perdere terreno, anno dopo anno. A confermarlo sono i dati più recenti sul tema, contenuti in due rapporti pubblicati alla fine dell'estate del 2020. Secondo l'ultimo report dell'Istat, infatti, la spesa in ricerca e sviluppo nel 2018 nel nostro Paese ammontava a 25,2 miliardi di euro, pari all’1,43% del Pil.

Sono però le imprese private a trainare gli investimenti con 15,9 miliardi di euro, pari al 64,7% della spesa complessiva in ricerca "intra muros", cioè quella svolta in proprio. Un dato, tra l'altro, che nel 2019 cresce del 7,6% rispetto all'anno precedente. La ricerca pubblica, invece, continua a contare poco. Le università concorrono al 22,8% degli investimenti intra muros (in calo dello 0,8% rispetto al 2017) mentre è stabile la quota del settore pubblico (12,5%) e del non profit (1,6%).

Indipendentemente dal settore, però, l’autofinanziamento si conferma la fonte principale della spesa. In particolare, le imprese italiane si autofinanziano per l’83,2% del totale. Non è un caso, quindi, che a farne le spese sia la ricerca pura rispetto ad attività più vicine al processo industriale. Nelle imprese, oltre la metà della spesa è composta dalla componente della ricerca applicata: 8,6 miliardi, pari al 54,2% del totale.

Secondo i dati più recenti diffusi dalla Commissione europea, tutto questo porta l'Italia negli ultimi posti della classifica continentale nella ricerca. La spesa pubblica è in calo ininterrotto dal 2013. E nel 2018 ha raggiunto lo 0,5 % del Pil, il secondo livello più basso tra i paesi dell'Ue-15. Di conseguenza, il numero di ricercatori ogni mille persone occupate dalle imprese è pari solo alla metà della media Ue (il 2,3% contro il 4,3% nel 2017). Stando alla Commissione Ue, quindi, l'Italia ha compiuto "progressi limitati" e "non è sulla buona strada per conseguire l'obiettivo dell'1,53 % del Pil" stabilito nel suo Programma nazionale per la ricerca.

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