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L’immigrazione in Italia e in Europa non è un fatto eccezionale, è un fenomeno che viviamo da mezzo secolo. Non è un’emergenza, anche se sono 40 anni che ci dicono che è un fatto emergenziale. Non è un’invasione, come dimostrano i dati degli ultimi 30 anni: 5 milioni i residenti di cittadinanza straniera in Italia, l’8,6 per cento del totale, la stessa quota da almeno sei anni. Di questi, 3 milioni 700 mila sono extraeuropei, gli stessi di quattro anni fa, prima della pandemia.
Numeri contro slogan
I numeri riportati dal 33° Dossier statistico immigrazione curato dal Centro studi e ricerche Idos, in collaborazione con Confronti e Istituto di studi politici S. Pio V, smentiscono la narrazione distorta che viene diffusa da decenni. “Una narrazione fasulla, a partire dai dati: basta leggerli per scoprire che non si registrano aumenti spaventosi, anzi – spiega Luca Di Sciullo, presidente di Idos -. Quello dell’immigrazione è un fenomeno normalizzato e strutturato che è iniziato nel 1973. Da allora abbiamo una quota fissa di popolazione che si è inserita, fa parte del nostro tessuto sociale e produttivo: oggi il 9 per cento del Pil nazionale è riconducibile agli stranieri, un decimo degli studenti sono stranieri, il 10 per cento dei matrimoni officiati sono con stranieri. Ormai siamo già alle seconde e alle terze generazioni. Più radicato di così”.
Persone senza protezione
Di fronte all'aumento delle persone in fuga registrato negli ultimi anni, però, le politiche del governo italiano hanno ristretto i canali di ingresso sicuro e stanno rendendo la protezione internazionale sempre più difficile. Il rapporto mette in evidenza l’inefficacia dell’approccio emergenziale e securitario con cui le autorità affrontano la questione non da oggi, ma su cui l’esecutivo Meloni sta investendo più di tutti.
Ultimo il decreto Cutro, un provvedimento con il quale secondo Idos si passa da un modello basato sull'inclusione a un sistema teso alla segregazione che produce isolamento, considera i richiedenti asilo degli irregolari e li tratta come un pericolo sociale. Di fatto si sta realizzando lo smantellamento del diritto d'asilo. Una scelta che si scontra con la realtà globale: i migranti forzati nel mondo superano già quota 108 milioni, per il 40 per cento sono minori, e continueranno ad aumentare nel medio-lungo periodo.
Integrazione addio
“Il decreto Curto ha spezzato in due il sistema di accoglienza – spiega Di Sciullo -. I richiedenti asilo finiscono nei Cas, centri di accoglienza straordinaria che è diventata ordinaria: si sono trasformati in un una specie di grosso parcheggio dove le persone restano a non fare nulla, senza accesso a servizi come corsi di lingua, supporto legale e psicologico. E dove la criminalità organizzata recluta lavoratori da portare nei campi”.
Chi si vede riconosciuto lo status di rifugiato o una forma di protezione, entra nel sistema di accoglienza diffusa e integrazione (Sai), che si sta smantellando. “Dopo qualche corso breve, il migrante dovrebbe essere autonomo, sapersi orientale nel sistema italiano ma così non è perché non ha gli strumenti – aggiunge Di Sciullo -. In pratica, è abbandonato a se stesso. L’integrazione fatta così non funziona”.
Di emergenza in emergenza
Ma oltre al decreto Cutro ci sono stati la dichiarazione dello stato di emergenza, anche se non c’è nessuna emergenza, l’istituzione di una cabina di regia per la sicurezza della Repubblica, anche se non c’è nessun problema di sicurezza, la nomina di un commissario straordinario, il varo di sei decreti legge, la conferma del memorandum con la Libia, la firma di uno nuovo con la Tunisia, e la convocazione di una conferenza internazionale. Basta così?
“È un paradosso – prosegue il presidente di Idos -. Si dice che dovremmo difendere i nostri confini per proteggerci da chi chiede a noi di essere protetto e difeso. Non c’è nessuna minaccia alle porte. Adesso si paventano infiltrazione terroristiche come conseguenza della crisi israelo-palestinese, e subito il governo si è affrettato a chiudere le frontiere, sull’onda emotiva del momento. Perdendo di vista la gestione e la governance di ampio respiro di un fenomeno strutturale”.
Modello fallimentare
Nonostante i proclami, da mezzo secolo siamo diventati Paese di immigrazione stabile, vocazione che non è mai cambiata. Oggi siamo al quarto posto in Europa, dopo Germania, Francia e Spagna. Dei poco più di 5 milioni di residenti stranieri, un decimo, 500 mila, si trova in situazione irregolare. Su di loro si è concentrata l’azione del governo, che ha approvato un piano straordinario per la costruzione di nuovi Cpr, centri di permanenza per il rimpatrio, e ha esteso da 6 a 18 mesi la durata massima del trattenimento.
Un modello che è fallimentare. Il dossier Idos denuncia che nel 2022 poco meno di 37 mila hanno ricevuto un decreto di espulsione, 6.383 sono stati trattenuti nei Cpr in condizioni inumane e degradanti, come è stato denunciato da più parti, 4.300 sono stati effettivamente rimpatriati. Questo sistema è costato 56 milioni di euro in tre anni.
Decreto flussi
Il dossier statistico sottolinea come gli immigrati possano essere una risorsa importante sul fronte della manodopera, sempre che si attivino canali regolari sufficienti: mentre il decreto flussi apre a 425 mila lavoratori da qui al 2025, secondo una stima dello stesso governo ne servirebbero 833 mila. Inoltre, nella maggior parte dei casi, quasi due occupati sui tre svolgono mansioni al di sotto della loro qualifica. Infine, i dati confermano che gli stranieri posso contribuire a contrastare l’inverno demografico: mentre la popolazione italiana continua a diminuire, aumenta di poco quella straniera.