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Moro condannato a morte, titola la Repubblica del 17 aprile 1978.
Per quel che ci riguarda - recitava due giorni prima il comunicato n. 6 - il processo ad Aldo Moro finisce qui. Processare Aldo Moro non è stato che una tappa, un momento del più vasto processo allo Stato ed al regime che è in atto nel paese e che si chiama: GUERRA DI CLASSE PER IL COMUNISMO. Le responsabilità di Aldo Moro sono le stesse per cui questo Stato è sotto processo. La sua colpevolezza è la stessa per cui la DC ed il suo regime saranno definitivamente battuti, liquidati e dispersi dall’iniziativa delle forze comuniste combattenti. Non ci sono dubbi. ALDO MORO È COLPEVOLE E VIENE PERTANTO CONDANNATO A MORTE.
Viene condannato a morte a un mese dal suo rapimento.
Il rapimento di Aldo Moro
Il 16 marzo 1978 le due Camere vengono convocate per discutere e votare la fiducia al nuovo governo.
Quella mattina in via Fani, a Roma, un commando delle Brigate rosse rapisce Aldo Moro e uccide i cinque uomini della sua scorta: Domenico Ricci, Oreste Leonardi, Raffaele Jozzino, Giulio Rivera, Francesco Zizzi.
Il primo organo d’informazione a dare la notizia è l’edizione straordinaria del giornale radio di Radio2 con l’inconfondibile voce di Gustavo Selva che alle 9 e 25 afferma con tono commosso: “Abbiamo ricevuto ora una drammatica notizia che ha dell’incredibile e che, anche se non ha trovato finora una conferma ufficiale, purtroppo sembra vera: il presidente della Democrazia cristiana, on. Aldo Moro, è stato rapito poco fa a Roma da un commando di terroristi. L’inaudito, ripetiamo, incredibile episodio è avvenuto davanti all’abitazione del parlamentare nella zona della Camilluccia”.
Le reazioni
Circa due ore dopo il rapimento arrivano la dichiarazione ufficiale del presidente della Repubblica, Giovanni Leone, il comunicato ufficiale di Palazzo Chigi e l’appello del ministro dell’Interno, Francesco Cossiga.
La notizia è comunicata a Pietro Ingrao, presidente della Camera, il primo comunista, dal ministro dell’Interno Francesco Cossiga qualche minuto dopo la strage, mentre si preparava a entrare in aula per la presentazione del nuovo governo Andreotti.
In quelle ore convulse, Enrico Berlinguer deciderà comunque di votare la fiducia per dare una risposta immediata all’emergenza, pur denunciando il tentativo di Andreotti di modificare unilateralmente gli accordi che andavano configurandosi all’interno del “compromesso storico” di cui Moro era stato uno dei principali artefici.
L’agenzia Ansa decide di sospendere lo sciopero proclamato per 24 ore e riprendere le trasmissioni. Poco dopo le dieci di mattina una telefonata anonima giunge al centralino dell’agenzia a Roma. Il messaggio comunicato dallo sconosciuto riferisce che le Brigate Rosse hanno “sequestrato il presidente della Democrazia cristiana, Moro, ed eliminato le sue guardie del corpo, teste di cuoio di Cossiga”.
L’agenzia trasmette alle ore dieci e sedici il comunicato dei brigatisti. Due minuti prima un’altra telefonata anonima aveva comunicato alla redazione milanese che le Brigate Rosse avevano “Portato l’attacco al cuore dello Stato”. “Per l’onorevole Moro - aggiungeva l’anonima voce - è solo l’inizio”.
Bruno Vespa apre l’edizione straordinaria del Tg1 dando lettura del comunicato brigatista all’agenzia Ansa a Roma. Pochi minuti dopo Paolo Frajese in collegamento da via Fani dà una prima drammatica descrizione del luogo dell’agguato con le devastanti immagini in diretta della scena della strage. La voce del giornalista, spesso rotta dall’emozione ed esitante, descrive la scena di un vero e proprio atto di guerra.
La Direzione del Pci si riunisce subito dopo il rapimento del presidente della Dc.
Al termine della riunione la Direzione del Pci estende un comunicato in cui si fa appello alle masse lavoratrici di schierarsi in difesa delle istituzioni democratiche: “Il Partito comunista in questa grave ora per l’Italia fa appello ai lavoratori, ai cittadini, alle forze democratiche perché si uniscano in difesa delle istituzioni repubblicane. (…) l’unità delle masse lavoratrici e popolari sconfiggerà i piani della reazione interna e internazionale. Tutti i comunisti, tutte le organizzazioni comuniste, siano in prima linea come sempre nella mobilitazione e nella vigilanza unitaria, per isolare gli eversori di ogni tipo, per difendere e rafforzare la Repubblica”.
Il sindacato unito e unitario si mobilita e grandi manifestazioni hanno luogo a Bologna, Milano, Napoli, Firenze, Perugia e Roma, dove 200.000 persone si raccolgono in Piazza San Giovanni.
“Io credo, campagne e compagni - dirà da quel palco un preoccupato Luciano Lama - che nelle grandi prove, nei momenti decisivi come questo si misurano in effetti le qualità vere, migliori di una classe, di una popolazione, di una nazione. Sul mondo del lavoro unito incombe un compito importante nella difesa dei valori essenziali della libertà, della democrazia, della civiltà nostra; (…) dobbiamo sentire che l’intesa, l’unità fra di noi è una delle garanzie vere, delle possibilità della democrazia, della libertà di trovare nel nostro popolo la sua difesa essenziale. Dimostriamo in questo momento difficile, in questo momento tragico della vita del paese di essere all’altezza di questo grave compito”.
L’epilogo della vicenda è tristemente noto.
Nel comunicato n. 9 la Brigate rosse scrivono: “Concludiamo la battaglia cominciata il 16 marzo eseguendo la sentenza a cui Aldo Moro è stato condannato”.
Così, sempre dal palco di Piazza San Giovanni a Roma, dirà il 10 maggio Luciano Lama: “Anche oggi, come il 16 marzo, Roma è qui in questa piazza per esprimere alla famiglia Moro e alla Democrazia cristiana la solidarietà dei lavoratori e per ribadire con fermezza incrollabile la volontà del nostro popolo di difendere lo Stato democratico, le nostre libertà”.