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Secondo la sociologa Chiara Saraceno il Pnrr andrebbe costruito leggendo l’ultimo rapporto sul benessere equo e sostenibile (Bes) dell’Istat. Perché da quel rapporto emerge come il benessere nel nostro Paese sia sempre meno equamente distribuito e quindi insostenibile. Nel rapporto l’Istat analizza l’evoluzione di una serie di indicatori (152) economici, sociali, ambientali ed occupazionali nell’arco di un decennio (2010-2020), ponendo particolare attenzione alle differenze territoriali, di genere, età e titolo di studio.
Subito apprendiamo che la povertà assoluta è arrivata a livelli mai visti dal 2005: coinvolge oltre 5,6 milioni di individui, con un’incidenza media pari al 9,4% (era il 7,7% del 2019), che sale però fino al 13,6% tra i bambini e i ragazzi. Nel nostro Paese ci sono 1 milione e 346mila bambini e ragazzi poveri.
Uno degli elementi che ostacola la diffusione del benessere sostenibile in Italia è la qualità del lavoro. “Essa presenta da tempo criticità in termini di stabilità, regolarità, retribuzione e coerenza con le competenze acquisite nel sistema formativo - scrive Istat - Queste in parte dipendono dall’andamento congiunturale del mercato del lavoro, peggiorando nelle fasi di crisi, in parte assumono caratteri strutturali”.
Il rapporto Bes 2020 mette in evidenza in particolare alcune di queste criticità. Abbiamo ad esempio mezzo milione di precari di lungo periodo, ovvero lavoratrici e lavoratori che svolgono impieghi con contratto a termine da almeno 5 anni. La percentuale di questi lavoratori è aumentata dal 17,6% al 18,7% nel secondo trimestre 2020.
In termini di retribuzione, aumenta l’incidenza dei lavoratori dipendenti con bassa paga: nel secondo trimestre 2020 la loro quota è pari al 12,1% dei dipendenti (era 9,6%). La percentuale è maggiore tra le donne (13,8%, +2,5 punti) rispetto agli uomini (10,7%, +2,6 punti) e tra le classi di età più giovani.
Altra nota dolente è lo svantaggio delle madri occupate, che Istat definisce “evidente”. La presenza di figli, soprattutto se in età prescolare, ha un effetto non trascurabile sulla partecipazione della donna al mercato del lavoro. Considerando le donne tra i 25 e i 49 anni, nel secondo trimestre 2020, il tasso di occupazione passa dal 71,9% per le donne senza figli al 53,4% per quelle che ne hanno almeno uno di età inferiore ai 6 anni. La situazione di maggior difficoltà sul mercato del lavoro per le donne con figli piccoli si osserva nel Mezzogiorno (dove lavora solo il 34,1% delle donne con figli piccoli, contro il 60,8% del Centro e il 64,3% del Nord).
Ridurre queste e molte altre disuguaglianze che attraversano il nostro Paese diventa evidentemente decisivo. Perché, per citare ancora Chiara Saraceno, "non vi può essere sostenibilità senza equità e valorizzazione del capitale umano di tutti e tutte".