Carcere fino a un mese per chi “impedisce la libera circolazione su strada ordinaria o ferrata ostruendo la stessa con il proprio corpo” e da sei mesi a due anni se il reato viene commesso da più persone riunite e stop all’alternativa della pena pecuniaria. C’è chi la chiama norma anti-Gandhi, chi anti-dissenso ed è quanto prevede un articolo dell’ennesimo disegno di legge sicurezza del governo attualmente ancora in fase di discussione in Parlamento e che conferma la propensione dell’esecutivo Meloni a restringere gli spazi di protesta pacifica nel nostro Paese.
Una propensione manifestata già all’esordio quando, nel novembre del 2022, mise a punto il “decreto rave” che, se non fosse stato modificato in un secondo tempo perimetrando la punibilità ai raduni musicali e di intrattenimento, nel testo originario avrebbe coinvolto anche le manifestazioni di protesta.
C’è poi un emendamento della lega che punta a innalzare le pene per coloro che protestano in modo “minaccioso o violento” contro le opere pubbliche e infrastrutturali e il pensiero va alle manifestazioni contro la Tav o il ponte sullo Stretto di Messina.
Il segretario generale del Silp Cgil, Pietro Colapietro, afferma che “la sicurezza non può esser questa. Non la vogliono le lavoratrici e i lavoratori in uniforme, che svolgono una professione chiamata a dedicarsi agli altri, fondamentalmente agli ultimi”. La legittima protesta, che riguarda in particolare i giovani “va governata non annientata, lo dice la democrazia”.
Sulle norme del governo è intervenuta anche Amnesty international Italia, il cui portavoce, Riccardo Noury, ha affermato che “siamo di fronte al forte pericolo di modifiche peggiorative a un quadro legislativo già critico dal punto di vista dei diritti umani” con il rischio della “criminalizzazione di coloro che protestano”.